Secondo il Randstad Workmonitor, il senso di comunità sul lavoro è fondamentale per la produttività e il benessere.
Negli ultimi tempi sul mondo del lavoro sono state effettuate molte ricerche. In una delle ultime è emerso che i lavoratori sui luoghi di lavoro cercano il senso di comunità per la salvaguardia della loro salute mentale. Almeno è quello che è emerso dall’ultima edizione del “Randstad Workmonitor”, lo studio di Randstad (agenzia di somministrazione alle aziende di personale a tempo indeterminato o determinato) effettuato in 35 Paesi sull’evoluzione del mercato del lavoro.
L’analisi si è focalizzata anche sulla fiducia tra colleghi. Il valore della comunità è strettamente connesso al benessere psico-fisico ed è stato manifestato in maniera netta dai lavoratori italiani. Inoltre, lo si può attuare sul luogo di lavoro e non, lavorando da remoto. Quasi l’80% ritiene che per incrementare la produttività bisogna lavorare in sede e migliorare la conciliazione con la vita privata. Si chiede più flessibilità nell’organizzazione del lavoro e un maggiore equilibrio tra lavoro in presenza e da remoto.
Secondo Randstat la socialità migliora rendimento e benessere. Lo smartworking di massa imposto durante la pandemia ha prodotto isolamento e straniamento e forse è per questo che si chiede più senso di appartenenza. Si va alla ricerca di forme ibride che possano soddisfare le esigenze di lavoratori e imprese sempre più orientate a cercare nuove forme di organizzazione. I lavoratori italiani si sono distinti dal resto dei colleghi a livello mondiale proprio per un senso di comunità più elevato, perché più incisivo sulla produttività. Significativo è il ruolo del management per creare un ambiente di lavoro coeso, orientato allo scopo e al senso di appartenenza comunitario.
Un rapporto saldo col proprio manager è fondamentale per il 64% dei lavoratori italiani, al punto da avere una relazione più coinvolgente con lui che con l’azienda in quanto tale. Il 45% sarebbe disposto, finanche, alle dimissioni in caso di dissidi col proprio responsabile.
I manager hanno mostrato di porre fiducia ai propri dipendenti in caso di lavori da svolgere in modo indipendente, anche in caso di lavoro svolto in modalità smartworking. Anche i dipendenti hanno manifestato sensazioni positive nel rapporto con la propria azienda, che vanno da un senso di fiducia elevato, sentirsi a proprio agio nell’ambiente in cui esercita le sue attività, fino a condividere opinioni senza temere discriminazioni e fidarsi dei colleghi. Le dolenti note arrivano sulla flessibilità oraria e su quella in ufficio e da remoto. Soltanto il 55% degli intervistati ha dichiarato di poter scegliere quanto lavorare, il 53% in quale luogo, il 49% ha rivelato una marcata assenza di sostegno in caso di congedo parentale e per motivi familiari.
In continua crescita sono le esigenze e la necessità di trovare un bilanciamento fra il tempo dedicato ai propri interessi personali, alla famiglia, alla propria persona e al tempo del lavoro. Si tratta di un fattore emerso anche in altre ricerche socioeconomiche e ha un’importanza tale per cui molti lavoratori lascerebbero l’attuale lavoro se le condizioni lo richiedessero. I motivi sono vari, tra cui: la bassa retribuzione, attività lavorativa che confligge con la sfera privata, ambiente lavorativo conflittuale, richieste di miglioramento delle condizioni lavorative non esaudite, flessibilità insoddisfacente e carenza di fiducia nel management. C’è da segnalare che questo elenco di cause è inferiore al 50% nelle risposte degli intervistati, mentre le altre summenzionate hanno percentuali consistenti. Infatti è emersa quasi una realtà, percentualmente, idilliaca nel rapporto lavoro/management, mentre, a naso la situazione pare andare in tutt’altra direzione. Ma si sa, il fiuto, spesso, non è attendibile!