Senza negare l’essenzialità del rapporto famiglia-scuola io preferisco soffermarmi sul fatto che, tra i vari dicasteri annoverati nel governo de Paese, mi pare di poter far conto ancora su quello dell’Istruzione. Pur nella sua evanescenza, dovrebbe ancora esistere.
Capita, talvolta, che io, così pedantemente dubbiosa, così polverosamente attenta a riesumare significati reconditi, se non perduti, improvvisamente non cerchi più conforto presso di voi, non invochi il vostro sostegno alle mie incerte, passatiste teorie, ma improvvisamente mi trovi in una condizione di certezza talmente salda da voler spezzare una lancia in favore di una parola.
Capita, ed è questo il caso. Pertanto lo farò per “Insegnamento”. Non aspettatevi una revisione in chiave deamicisiana della professione dell’educatore con la riproposta di una improbabile “maestrina dalla piuma rossa” e neppure una quieta rivisitazione del passato attraverso un sonnolento appello del popolo dei propri alunni sul modello di Mr. Chips.
No; più semplicemente vorrei, a metà tra la protesta e l’indignazione, fare presente che, da un numero ormai troppo elevato di anni, questa voce, che potrebbe identificarsi con il più burocratico termine di “didattica”, non fa parte, non solo del bilancio del nostro Stato, ma neppure di una considerazione politica, né tantomeno di una sociale.
Preferisco volare alto e superare, in un solo attimo, tutte le ovvietà di riferimento quando si prende in considerazione la classe docente e che, per altro, sono le uniche di cui si trovi dedicataria. Infatti io ritengo che qui sia il punto o meglio che questo sia il vocabolo non più investito di una qualche importanza che non si limiti a questioni spicciole e a diatribe genitoriali quotidiane. Senza negare l’essenzialità del rapporto famiglia-scuola io preferisco soffermarmi sul fatto che, tra i vari dicasteri annoverati nel governo de Paese, mi pare di poter far conto ancora su quello dell’Istruzione.
Pur nella sua evanescenza, dovrebbe ancora esistere.
Tuttavia mi pone alcuni quesiti a cui non riesco da molto tempo (so di ripetermi) a dare risposta. In primis: ha Esso ancora la percezione che l’istruzione, da cui prende il nome, è sinonimo di insegnamento ed estensivamente di educazione? Di più: sa, sempre Esso, che l’oggetto dell’apprendimento (nel senso più lato possibile del termine) è la propria popolazione in età evolutiva?
La questione è basilare e tutt’altro che scontata, perché il fatto che l’insegnamento sia per uno Stato una delle necessità prioritarie è un’entità ideale caduta nel dimenticatoio più profondo. E’ evidente che se non funzionano gli ospedali (e non funzionano in più parti del territorio!) la percezione è immediata, che le conseguenze si pagano in termini di salute personale e, dunque, con palese gravità, ma non è che una “scuola” (nel senso di sistema dell’educazione nazionale) fatiscente, in perenne crisi di identità, affidata a personale per metà figura professionale e per metà assurto a missionario dell’impegno non produca danni, meno visibili nell’immediato, ma di una gravità assoluta in termini di formazione intellettuale e di raziocinio della cittadinanza. Nessuno nega, va da sé, quanto sia profondo il rapporto che lega educatore e discente o, per dirla in termini affettivi, il maestro, l’insegnante e i bambini, i ragazzi. Ho usato la parola educatore proprio perché mi consente di mettere in luce più evidente che insegnare non significa solo trasmettere nozioni, che non è poco, ma che, se vogliamo, è la funzione più scontata (dovrebbe esserlo!) di questa professione, insegnare significa fornire una figura che sia di “exemplum”, di riferimento a coloro che stanno crescendo e che dunque vengono dopo di noi. Ne consegue una nuova domanda: che cosa intende mettere in atto il Ministero preposto all’Istruzione per fornire quell’aura di decoro e di importanza sociale di cui ha privato i suoi dipendenti?
Perché non è solo che gli insegnanti debbano essere professionali secondo il loro buon cuore, secondo il proprio senso di responsabilità e, certamente, secondo la loro cultura. E’ che fanno parte di una categoria lavorativa che riveste un ruolo fondamentale nella vita e nella crescita di uno Stato. Invece nel nostro Paese è venuta a mancare la percezione che il docente sia una figura di autorevolezza sociale al di là della singola persona. So che offro il destro per dire: “fosse venuto a mancare solo questo, nel nostro Paese!!!” sì, vabbè… ma, per il momento, siamo alla lettera I e a questa mi sto limitando anche se, pur tuttavia, sto continuando a ritenere che sia cosa tutt’altro che irrisoria e meritevole di attenzione istituzionale. Non si avverte infatti cenno di ripensamento alcuno, riguardo all’importanza della cultura per i giovani che in seguito non lo saranno più, ma saranno comunque lavoratori e cittadini, né da parte di movimenti politici, né da parte di apparati istituzionali.
Vorrei rendere merito all’onorevole Calenda che, unico e solo, riesce a dire che la lettura è importante ed in quanto tale andrebbe promossa. Un ringraziamento per questa sua isolata affermazione e la preghiera di allargare la sua attenzione al fatto che la formazione scolastica potrebbe avere un suo perché. Sarebbe intanto fatto gradito (così… come inizio e nulla più) non sentire ministri che possano dire che “la cultura non si mangia” o che “le conoscenze geografiche non servono più perché esistono i navigatori satellitari (nel loro linguaggio colloquiale chiamati “tom-tom”)”. E non tanto perché siano sminuenti dell’attività dell’insegnamento, ma in quanto testimonianza diretta dei danni che una politica disattenta all’istruzione dei suoi cittadini può mettere in atto.
m.r.