I condannati per la Diaz non hanno ancora rimborsato lo Stato

Dopo 24 anni dai fatti e 13 dalle sentenze definitive, questori ed ex prefetti non hanno ancora saldato i soldi anticipati per le spese legali.

Genova – Una vicenda che si trascina da oltre un decennio torna prepotentemente alla ribalta: i tredici alti funzionari di polizia condannati in via definitiva per i tragici eventi della scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001 devono ancora rimborsare allo Stato le somme anticipate per le spese processuali. Si tratta di circa 82.620 euro a testa, per un totale che supera il milione di euro.

La questione emerge in tutta la sua complessità grazie a una recente pronuncia del Consiglio di Stato, che ha rigettato il ricorso presentato da Filippo Ferri, attualmente questore di Monza e Brianza. La sua nomina, avvenuta nella primavera del 2025, aveva già sollevato un coro di proteste e un’interrogazione parlamentare europea firmata da Ilaria Salis, Mimmo Lucano, Benedetta Scuderi e Cristina Guarda, come riferisce La Repubblica.

Ferri era stato condannato a 3 anni e 8 mesi di reclusione per aver contribuito alla redazione di falsi verbali finalizzati a insabbiare il brutale pestaggio dei manifestanti che quella notte dormivano nella scuola, oltre al loro illegittimo arresto. Il suo ricorso, portato avanti insieme agli avvocati Jacopo Maria Ferri (suo fratello e sindaco di Pontremoli) e Giovanni Montana, contestava una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio del 2024.

La storia di questi mancati rimborsi affonda le radici nel lungo iter giudiziario che ha caratterizzato il caso Diaz. Nel 2008 si chiude il primo grado: vengono condannati Vincenzo Canterini, comandante del reparto mobile, e alcuni suoi collaboratori, mentre vengono assolti funzionari di alto rango come Francesco Gratteri, Giovanni Luperi e Gilberto Caldarozzi, figure vicine all’allora capo della polizia Gianni De Gennaro.

L’anno successivo, nel 2009, tutti gli imputati ottengono l’anticipazione delle spese legali da parte dello Stato. Ma nel 2012 arriva il colpo di scena: la Corte d’Appello ribalta completamente la sentenza di primo grado, condannando 25 persone per falso, compresi tutti i dirigenti di polizia precedentemente assolti. Per quanto riguarda le accuse di calunnia e arresto illegale, il tempo trascorso le rende prescritte.

Nel 2013, con le condanne ormai definitive in Cassazione, parte la richiesta di restituzione delle anticipazioni. Ed è qui che tutto si inceppa. Le ragioni del blocco non sono del tutto chiare. I condannati presentano opposizioni, il Ministero dell’Interno temporeggia, l’Avvocatura Generale dello Stato emette pareri contrastanti, sostenendo erroneamente che le somme relative ai reati prescritti non dovessero essere restituite.

Passano gli anni fino al 2022, quando il Ministero riattiva formalmente le procedure di recupero. A quel punto arrivano i ricorsi al TAR del Lazio da parte di Ferri e degli altri dodici condannati. Le argomentazioni difensive puntavano sul tempo trascorso, sulla presunta riduzione dell’importo dovuta ai reati prescritti, e sull’affidamento legittimo maturato dai funzionari che potevano ragionevolmente credere nella stabilità della situazione favorevole creatasi.

Il Consiglio di Stato, nella sua sentenza, ha smontato sistematicamente ogni argomento. Sulla questione della prescrizione, i giudici hanno ribadito che le anticipazioni vengono concesse solo in caso di assoluzione, non di prescrizione. Inoltre, hanno sottolineato un elemento cruciale: nel processo Diaz la parziale dichiarazione di prescrizione ha comunque accertato l’unicità del disegno criminoso e l’aggravante del nesso teleologico tra tutti i reati contestati – falso, arresto illegale e calunnia – compresi quelli caduti in prescrizione.

Quanto alle aspettative legittime invocate dai ricorrenti, il Consiglio di Stato è stato altrettanto netto: l’Amministrazione non ha mai tenuto comportamenti ambigui che potessero essere interpretati come rinuncia al credito o acquiescenza. Al contrario, ha sempre adottato atti che dimostravano inequivocabilmente l’intenzione di recuperare le somme anticipate.

Le conseguenze pratiche della sentenza sono destinate a farsi sentire rapidamente. Per il questore Ferri dovrebbe scattare a breve il pignoramento di un quinto dello stipendio. La stessa sorte toccherà agli altri dodici condannati non appena il Consiglio di Stato si pronuncerà sui loro ricorsi, come appare inevitabile considerando il precedente già stabilito.

Resta la singolarità di una vicenda che vede alti servitori dello Stato – alcuni ancora in servizio con ruoli di responsabilità – opporsi alle legittime richieste dello stesso Stato che continuano a rappresentare. Un paradosso giuridico e istituzionale che, dopo quasi un quarto di secolo dalla “notte cilena” della Diaz, continua a gettare ombre lunghe sulla gestione di quella tragica pagina della storia italiana.