Delitto del trapano: il presunto omicida di “Antonella” incastrato dopo trent’anni dal sangue e le sigarette. Ad un amico confessò di averla ammazzata “per passatempo”.
GENOVA – Il Dna di un parente detenuto lo inchioderebbe alle proprie responsabilità: è lui l’autore del “delitto del trapano”, l’uomo che il 5 settembre 1995 avrebbe ucciso barbaramente Maria Luigia Borrelli. Il 9 settembre scorso quando gli investigatori della guardia di Finanza e della Squadra Mobile genovese si sono presentati a Marassi, quartiere della città della Lanterna, dove risiede Fortunato Verduci, 65 anni, carrozziere a Staglieno, l’uomo si è detto basito dei fatti contenuti nella notifica negando ogni addebito.
L’indagato, difeso dagli avvocati Giovanni Ricco e Nicola Scodmik, che dovrà rispondere di omicidio volontario aggravato da futili motivi e crudeltà, ha detto sulle prime di non conoscere la vittima, nota con il nome di Antonella, ma poi, in parte ritrattando, avrebbe asserito di conoscerla e probabilmente di averne frequentato il postribolo di vicolo degli Indoratori 64 come tanti altri uomini ma non per questo l’avrebbe uccisa.
Ad accusare il carrozziere c’è però il Dna. Sul luogo del delitto, infatti, furono trovate alcune macchie di sangue che rivelarono la presenza del componente biologico maschile. Le diverse comparazioni effettuate all’epoca risultarono vane, compresa quella sull’ex primario dell’ospedale San Martino poi deceduto nel 2021, eseguita un anno fa. Subito dopo, grazie a nuove analisi e alla grande banca dati del ministero della Giustizia che contiene il Dna delle persone detenute per delitti non colposi e attiva dal 2017, è arrivata la svolta. Il profilo genetico di quel Dna ritrovato sulle scena del crimine è risultato “simile” a quello di un uomo, Vincenzo Verduci, detenuto nel carcere di Brescia, lontano parente dell’indagato da cui gli investigatori sono risaliti ad un parente più prossimo, ovvero al carrozziere di Staglieno.
I detective, facendo combaciare i diversi elementi, avrebbero trovato quello che per la Pm Patrizia Petruzziello è l’assassino di Luigia Borrelli, detta Antonella, 42 anni, vedova con due figli, donna dalla doppia vita: di mattina infermiera, di sera prostituta nei carruggi della città vecchia. La donna fu ritrovata cadavere nel basso di proprietà di un’altra ex meretrice, tale Adriana Franega, che aprendo la saracinesca faceva la macabra scoperta. La vittima era riversa sul pavimento, tra il letto ed il televisore, in un lago di sangue. Gola, torace e cranio martoriati da ben 15 fori di trapano e tracce evidenti di calci, pugni oltre ad un colpo di sgabello in testa che l’avrebbe tramortita prima di spirare. A dare l’allarme sarebbe stata la figlia della vittima, Francesca Andreini, all’epoca di 19 anni, che assieme al fratello Roberto, oggi assistiti dall’avvocato Rachele De Stefanis, avevano chiamato la polizia non vedendo rientrare la madre in casa.
La povera donna era costretta a prostituirsi per pagare i debiti contratti dal marito prima della sua morte dunque per pagare gli strozzini “Antonella” si dava a pagamento per poi conservare il ricavato dentro il suo portafogli. Mai ritrovato. Fortunato Verduci, fissato da sempre con il gioco d’azzardo, ludopatico e alla perenne ricerca di soldi, anche all’epoca dei fatti, secondo l’accusa avrebbe rapinato la vittima per poi aggredirla e ucciderla. A supporto dell’accusa ci sono anche alcuni mozziconi di sigaretta ritrovati nel basso di vicolo Indoratori e corrispondenti a sigarette Diana Blu lunghe, della stessa marca e tipo fumate da Verduci.
Il particolare sarebbe evidenziato anche in alcune intercettazioni telefoniche intercorse fra l’indagato e alcuni suoi colleghi di lavoro: “Fortunato io ti devo fare una domanda, ma perché l’hai ammazzata? – dice un collega a Verduci, per telefono, il 9 maggio scorso, alle 8 del mattino. “Eh per passatempo, come un altro”, risponde Verduci.
Dopo le opportune conclusioni il Pm Petruzziello, attesa la pericolosità del soggetto e la probabilità di reiterazione del reato, chiedeva al Gip Alberto Lippini il mandato di arresto per Fortunato Verduci. Il giudice però negava le manette adducendo quale motivazione del diniego l’insussistenza della reiterazione del reato a 30 anni dall’episodio criminoso, atteso anche che il carrozziere è incensurato e senza carichi pendenti. Il Gip però non negava l’aggravante della crudeltà per un uomo che, all’epoca dei fatti, aveva 36 anni: ”Dopo tanto tempo chiunque può cambiare”, chiosa il Gip genovese. Il Pm è ricorso al tribunale del Riesame, il 23 settembre prossimo il verdetto.