Trecento tonnellate di cibo bloccate, perché miele e marmellata sono “troppo energetici” per dei bambini che stanno morendo di fame.
C’è qualcosa di profondamente disturbante nel fatto che nel 2025 dobbiamo discutere se un bambino affamato possa ricevere un biscotto. Eppure è esattamente quello che sta accadendo con gli aiuti umanitari destinati a Gaza, dove trecento tonnellate di cibo giacciono bloccate per settimane a causa di una burocrazia che sembra uscita dai peggiori incubi kafkiani.
Stefano Rebora, presidente dell’associazione Music for Peace, ha sollevato il velo su una realtà che dovrebbe far vergognare chiunque possa vantarsi di essere ancora “umano”. Le autorità israeliane, attraverso il Cogat (Coordinator of Government Activities in the Territories), hanno deciso che biscotti, miele, marmellata, succhi di frutta e datteri non possono entrare a Gaza perché hanno un “alto contenuto energetico, soprattutto pericoloso per donne e bambini”.
Fermiamoci un attimo a riflettere sull’assurdità di questa frase. In un territorio dove i bambini stanno letteralmente morendo di fame, dove le immagini di corpicini ridotti a scheletri sono diventati la normalità, qualcuno ha deciso che un biscotto è troppo “energetico”. Come se dare energia a chi sta morendo di stenti fosse un crimine contro l’umanità.
Ma c’è di più: non solo questi alimenti vengono vietati ma le organizzazioni umanitarie devono anche pagare per la loro distruzione. È una perversione burocratica che trasforma l’aiuto umanitario in una farsa crudele, dove chi vuole aiutare deve sottostare a condizioni che farebbero impallidire Orwell.
La Jordan Hashemite Charity Organization, partner locale che gestisce i passaggi di cibo e altri aiuti destinati alla popolazione di Gaza, diventa il custode di questa assurda censura alimentare, smembrando i pacchi accuratamente preparati e privandoli degli elementi nutritivi più preziosi. Non è più aiuto umanitario: è sadismo istituzionalizzato.
Rebora ha posto due richieste elementari che suonano come un grido di buon senso in un mondo impazzito: non smembrare i pacchi (perché contengono beni necessari per le famiglie) e permettere la consegna diretta alle associazioni palestinesi. Due richieste che qualsiasi persona razionale considererebbe ovvie ma che, evidentemente, rappresentano pretese eccessive per chi gestisce questo teatro dell’assurdo.
Il presidente di Music for Peace ha rivelato una verità ancora più amara: questa non è una novità. I governi di tutto il mondo hanno “accettato silenziosamente queste condizioni” per anni. Significa che mentre facevano dichiarazioni pubbliche di solidarietà e compassione, sapevano perfettamente che i loro aiuti venivano mutilati, privati degli elementi più nutrienti, trasformati in elemosina umiliante.
“Un bambino quando apre un pacco di biscotti sorride”. In questa frase c’è tutta la drammaticità della situazione: stiamo negando il sorriso a bambini che da anni conoscono solo bombardamenti, devastazione, mancanza d’acqua, elettricità, scuola, famiglia. Stiamo rubando loro anche la piccola gioia di un biscotto.
Ci stiamo avviando in un processo di disumanizzazione sistematica. Quando la storia giudicherà questo periodo, una delle domande più difficili sarà: come abbiamo potuto permettere che un biscotto diventasse un’arma di guerra? Come abbiamo accettato che la compassione venisse filtrata attraverso protocolli che negano la dignità umana più elementare?
La risposta è semplice quanto terrificante: perché abbiamo smesso di indignarci. Perché abbiamo accettato che l’orrore diventasse normalità. Perché abbiamo studiato Auschwitz, abbiamo letto Primo Levi, abbiamo promesso che non sarebbe più successo e invece siamo allo stesso punto di partenza. Siamo tornati a guardare – inermi – dei bambini morire di fame.