Un problema economico che il legislatore ha cominciato ad affrontare nel 1977, quando si decise di cancellare alcune feste religiose.
Roma – Il Pil italiano e gli effetti del mancato lavoro durante le festività al centro di un report della Cgia di Mestre. Una questione che la politica si trova ad affrontare dal ’77. Rispetto al 2024 in Italia, quest’anno lavoriamo 2 giorni in meno: questo riduce il nostro Pil di 12 miliardi. Importo pari ai danni che potremmo subire dall’applicazione dai dazi imposti dall’Amministrazione Trump. Un dato che emerge da un’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della Cgia su dati Prometeia e Istat. Nel 2025 – il nostro Pil è destinato a sfiorare i 2.244 miliardi di euro. Questo implica che produciamo poco più di 6 miliardi di euro di reddito al giorno. Includendo anche i bambini e gli anziani, l’importo pro capite giornaliero medio nazionale ammonta a 104 euro. A livello provinciale il contributo per abitante più elevato “giunge” da Milano con 184,9 euro.
Seguono Bolzano con 154,1, Bologna con 127,6, Roma con 122 e Modena con 121,3. In coda alla classifica nazionale, invece, troviamo la provincia di Sud Sardegna con 50,8 euro, Cosenza con 50,7 e, infine, Barletta-Andria-Trani con 50,6. Quest’anno – evidenzia la Cgia – lavoreremo 251 giorni, due in meno rispetto al 2024 che, comunque, era un anno bisesto. In termini di Pil, questo ci “costerà”, in linea teorica, 12 miliardi di euro. Un impatto economico equivalente a quello che potremmo subire dall’eventuale introduzione dei dazi da parte dell’amministrazione Trump.

Comunque sia, a livello europeo siamo annoverati tra i più stakanovisti: secondo l’OCSE[1], infatti, solo la Grecia (1.897), la Polonia (1.803), la Repubblica Ceca (1.766) e l’Estonia (1.742) registrano un numero di ore lavorate per occupato all’anno superiore al nostro che, segnaliamo, è pari a 1.734. In Francia sono 1.500 ore per occupato e in Germania 1.343. Un dato, quello italiano, che va interpretato con attenzione: ricordiamo, infatti, che contiamo uno stock di ore lavorate molto elevato ascrivibile, in particolare, a un tasso di occupazione tra i più bassi di tutta UE. Secondo la Cgia di Mestre “con una settimana di lavoro in più, guadagneremmo un punto di Pil”.
Nei “20 giorni circa che quest’anno intercorrono tra l’inizio delle festività pasquali e la fine del ponte del 1° maggio, – viene evidenziato – tante fabbriche, altrettanti magazzini, negozi e uffici si sono svuotati, continuando l’attività al rallentatore. Sicuramente negli alberghi, nei ristoranti e nelle realtà aziendali legate al settore turistico si lavora a pieno regime, ma nei comparti manifatturieri e nei servizi si denota una decisa flessione della produttività. Segnaliamo, inoltre, che non sono pochi i dipendenti che hanno deciso di concentrare una parte delle ferie proprio in queste settimane, contribuendo a “sguarnire” gli organici nei comparti in cui operano, in particolare nell’industria. Intendiamoci, nessuno di noi vorrebbe accorpare o, peggio ancora, cancellare alcune feste comandate o impedire agli operai e agli impiegati di prendersi qualche giorno di vacanza durante i ponti, ci mancherebbe”.

Tuttavia, si fa notare che “il problema sussiste ed ha delle implicazioni sulla produzione della ricchezza del nostro Paese non trascurabile. Un problema che il legislatore ha cominciato ad affrontare addirittura nel 1977, quando l’allora governo Andreotti III decise di cancellare alcune feste religiose, come l’Epifania, San Giuseppe, l’Ascensione, il Corpus Domini, San Giovanni e Paolo, San Francesco, etc. Più recentemente, l’esecutivo di Silvio Berlusconi nel 2004, poi in quello del 2011 e successivamente anche quello guidato dal prof. Mario Monti cercarono di mettere mano alla situazione senza riuscirci. La CGIA stima che se tra feste e giorni pre-festivi fossimo in grado di recuperare una settimana di lavoro all’anno, guadagneremmo un punto di Pil che, in termini assoluti, ammonterebbe a circa 22 miliardi di euro”.
Le previsioni 2025 – sostiene la Cgia – ci dicono che l’area provinciale con il valore aggiunto per abitante al giorno più elevato è Milano. Nella Città Metropolitana meneghina l’importo corrisponde a 184,9 euro. Seguono Bolzano con 154,1, Bologna con 127,6, Roma con 122 e Modena con 121,3, Aosta con 120,4, Firenze con 119,8, Trento con 119,5, Parma con 115,4 e Reggio Emilia con 113,7. Nella parte bassa della classifica, invece, c’è Enna con un valore aggiunto pro capite di 53,5 euro per abitante, Agrigento con 52,8, Vibo Valentia con 51,5, Sud Sardegna con 50,8, Cosenza con 50,7 e, infine, Barletta-Andria-Trani con 50,6. A livello regionale, infine, la realtà più ricca è il Trentino Alto Adige con un Pil per abitante giornaliero di 152,8 euro. Seguono i residenti della Lombardia con 140,8, quelli della Valle d’Aosta con 134,5, quelli dell’Emilia Romagna con 123,8 e del Lazio con 121,3.