L’ematologo Lorenzo Iovino lo ha isolato su una pallottola usata nell’ultimo duplice delitto, trovando però parziali riscontri anche su precedenti scene del crimine.
Firenze – Quando la genetica corre in soccorso della macchina della Giustizia, molti cold case trovano finalmente soluzione, ma non necessariamente nella direzione impressa originariamente dalle indagine, a volte nemmeno dalle sentenze. La questione potrebbe riproporsi con l’inchiesta sul mostro di Firenze, ben lontana dall’essere stata compresa e risolta dalle sentenze di condanna dei cosiddetti compagni di merende. L’omicida seriale che si aggirava per le campagne toscane e uccideva giovani coppie appartate in intimità praticando atroci mutilazioni alle vittime femminili colpì l’ultima volta 39 anni fa e proprio allora potrebbe aver lasciato la sua firma.
C’è infatti un Dna sconosciuto su uno dei proiettili usati nell’omicidio di Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, le ultime vittime, un Dna che ricorre anche sui proiettili di altri due delitti. Potrebbe aprire nuovi scenari nel giallo infinito del killer delle coppiette. La ricerca, svolta per conto dell’avvocato Vieri Adriani, che assiste i familiari delle vittime francesi, è di Lorenzo Iovino, ematologo italiano che lavora negli Usa, dove si occupa di trapianti di midollo. E’ quanto scrive questa mattina il quotidiano la Repubblica, che spiega come lo studioso abbia scorporato in modo integrale quella sequenza, scoprendo anche una parziale sovrapposizione con quelle individuate su altri due proiettili rinvenuti in occasione dei duplici omicidi di Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch (9 settembre 1983) e di Pia Rontini e Claudio Stefanacci (29 luglio 1984). Potrebbe essere la firma del mostro rimasta impressa al momento di ricaricare di ricaricare l’arma.
Iovino, che ha lavorato sul proiettile rimasto conficcato nel cuscino della tenda dei due ragazzi uccisi a Scopeti, spiega che “il Dna non solo non è compatibile con quello delle vittime e del secondo perito balistico che aveva maneggiato il reperto, ma neanche con quello di alcuni indagati, o delle tracce di Dna di altri sconosciuti isolate sui pantaloni di Jean Michel e sulla tenda“, Appartiene quindi ad un misterioso “mister x” che le indagini di allora, stante la pochezza dei mezzi tecnici a disposizione, potrebbero aver escluso.
“Il Dna dell’assassino potrebbe essere rimasto impresso mentre incamerava i proiettili“, aggiunge il medico, che ha costantemente aggiornato dei suoi studi l’avvocato Vieri Adriani. “Alcuni delitti (come il primo del 1968) non sono stati coperti da giudicato, e le sentenze stesse hanno ipotizzato una pluralità di attori. Per questo sarebbe fondamentale utilizzare a pieno i risultati delle consulenze genetiche già svolte”. Il profilo sconosciuto, spiega ancora Iovino, emerge per sottrazione. E sarebbe importante compararlo con quello di Stefania Pettini, che fu uccisa a Vicchio il 14 settembre 1974 con Pasquale Gentilcore.
“Sappiamo dalla consulenza medico-legale che potrebbe aver lottato con l’assassino. Non è impossibile pensare che ci siano campioni biologici sotto le sue unghie“, dice ancora Iovino. Per questo Adriani si prepara a chiedere ai familiari della ragazza la riesumazione del corpo. “Certo, è possibile che non si trovi nulla, per il tempo trascorso o per lo stato di conservazione del cadavere troppo deteriorato. O che, anche in caso di esito positivo, il Dna possa essere incompleto o non comparabile. Resta il fatto che nei casi non risolti bisogna tentare tutto il tentabile. Confrontandomi con esperti del settore medico-legale, confermo che la ripetizione dell’autopsia è altamente auspicabile”. Grazie alle nuove frontiere della genetica la caccia al mostro potrebbe riaprirsi.