Secondo i dati della Cgia di Mestre, in Italia le aziende più piccole sostengono i costi energetici più alti d’Europa. A pagarne il prezzo è l’intero tessuto produttivo.
E poi si dice che i proverbi non sono la testimonianza della saggezza popolare! E’ il caso del motto “il pesce grande mangia quello più piccolo”, ovvero che il più potente ha sempre la meglio in una sorte di legge del più forte, a simboleggiare il trionfo del darwinismo sociale. Infatti, calza a pennello dopo avere letto una notizia Ansa, che così recitava: “Energia, alle piccole imprese costa il 165% in più delle grandi”.
Com’è noto l’Ansa è la prima agenzia di informazione multimediale in Italia e tra le più prestigiose al mondo, tanto che la sua autorevolezza è riconosciuta dal senso comune popolare. Ora perché mai le grandi imprese pagano l’energia due volte e mezzo in meno rispetto alle piccole, 131,5 euro e 348,3 rispettivamente? Questi dati sono stati diffusi dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, la Confederazione generale italiana dell’artigianato, la più rappresentativa organizzazione del settore e della piccola impresa. Il divario è del 164,7%.

Né può consolare la constatazione che un fenomeno simile è presente anche in Europa, si sa che i… virus attecchiscono repentinamente! In dettaglio, in Germania le piccole imprese pagano +136,2 il costo dell’energia nei confronti delle aziende di grandi dimensioni. In Spagna sfiora il +200% e in Francia, addirittura il +242%. Va precisato, tuttavia, che nel nostro Paese, per ragioni storiche, culturali e territoriali, la piccola impresa ha assunto un ruolo talmente rilevante che nel corso degli anni ’70 è stata oggetto di studio.
A tal proposito va ricordato il saggio dell’economista Ernst Friedrich Schumacher pubblicato nel 1973 dall’eloquente titolo “Piccolo è bello”, in cui veniva messo in discussione il paradigma occidentale moderno imperniato su grande industria e centralismo organizzativo. L’autore così sentenziò: “Al giorno d’oggi soffriamo di un’idolatria quasi universale per il gigantismo. Perciò è necessario insistere sulle virtù della piccola dimensione, almeno dovunque essa sia applicabile”.

E’ una realtà specifica del nostro Paese che non ha eguali nel resto d’Europa. Rappresenta, infatti, il 95% della struttura economica italiana, dove sono occupati il 42% dei lavoratori. La disparità si è accentuata dal 2018 con la cosiddetta riforma degli energivori. Come spesso succede in Italia, sono state agevolate con tariffe ad hoc le imprese di grandi dimensioni, a cui è stata quasi del tutto abolita la voce “tasse e oneri” spostando il carico sulle imprese che non hanno usufruito della magnanima offerta. Per la cronaca, va registrato che il governo Draghi ridusse il tasso di differenza.
Com’è, ormai, noto il costo dell’energia elettrica e del gas sono soggetti al mercato libero. Mentre è l’Autorità per l’energia a fissare periodicamente i costi di trasporto, la gestione del contatore e gli oneri di sistema. Questi sono una trovata tipica, frutto del genio italico. Non si sa bene cosa siano, sta di fatto che a pagare dazio sono sempre i piccoli. Si tratta di costi che vengono aggiunti alle fatture di luce e gas, contribuendo a formare l’importo totale delle tue spese energetiche.
Sono stati introdotti col nobile (!) intento di sostenere alcune spese di interesse generale per la collettività, finanziando progetti che vanno dallo sviluppo delle fonti rinnovabili alla messa in sicurezza del nucleare, dal sostegno alle famiglie in difficoltà alle agevolazioni per le imprese a forte consumo di energia. Questi oneri sono superiori rispetto agli altri Paesi europei e, come si è visto, pesano sulle spalle delle piccole e micro aziende. Ma poiché siamo un Paese profondamente cattolico e la solidarietà è tra i nostri tratti peculiari, ci consola il fatto che le maggiori spese siano destinate al benessere della collettività (sic)!