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È morto Satnam Singh, il bracciante indiano che aveva perso il braccio nei campi

Latina: il 31enne, abbandonato in strada davanti casa, non ce l’ha fatta. Lunedì un macchinario gli aveva amputato l’arto.

Latina – Purtroppo non ce l’ha fatta Satnam Singh, il 31enne bracciante indiano che lunedì aveva subito l’amputazione del braccio in un incidente sul lavoro nelle campagne di Latina. L’uomo era stato ricoverato al San Camillo di Roma in gravissime condizioni, dove è morto questa mattina, dopo che era stato scaricato dal datore di lavoro fuori alla sua abitazione insieme alla moglie anziché essere portato in ospedale. A soccorrerlo erano stati alcuni colleghi, ma l’uomo era giunto al pronto soccorso in condizioni disperate. Ora il tragico epilogo di una vicenda terribile che getta una sinistra luce sul mondo spietato (e impunito) del caporalato.

Satnam Singh, il 31enne bracciante indiano rimasto ferito è morto

L’incidente che gli è costato la vita è avvenuto lunedì. Mentre lavorava nei campi è stato agganciato da un macchinario avvolgi plastica a rullo trainato da un trattore che gli ha tranciato il braccio destro, schiacciando anche gli arti inferiori.

A commentare l’accaduto l’ex sindaco di Latina Damiano Coletta, che sui suoi profili social scrive queste parole: “Purtroppo, Satnam Singh, detto Navi, il bracciante vittima di un incidente con la trebbiatrice e abbandonato dai suoi sfruttatori senza alcuna pietà con un arto staccato e altre gravissime lesioni, è morto poco fa. Una vicenda orribile che riporta drammaticamente alla luce la piaga del caporalato che affligge le nostre campagne. A nulla sono valsi i progetti messi in campo in questi anni per far emergere e contrastare la riduzione in schiavitù. Senza controlli adeguati e costanti, senza la certezza delle pene, gli sfruttatori continueranno a far leva sul bisogno degli ultimi fra gli ultimi. Con la tragedia di Navi si è scesi nell’abisso della disumanità. È tempo che le forze politiche, i sindacati, le associazioni si muovano insieme per dire basta. Possiamo dirci e restare umani solo dando voce a chi la voce altrimenti non l’avrà mai”.

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