L’annuncio del cardinale Farrell alle 7.35. Bergoglio era nato il 17 dicembre 1936, a Buenos Aires. Durante il suo pontificato ha portato avanti diverse riforme.
Roma – Papa Francesco è morto. Aveva 88 anni. Jorge Mario Bergoglio, nato il 17 dicembre 1936 a Buenos Aires, in Argentina, è stato il 266esimo Papa della Chiesa cattolica. Il Pontefice si trovava a Roma, a Casa Santa Marta, dove era stato trasferito dopo il ricovero al Gemelli. Ieri, nel giorno della Santa Pasqua, aveva partecipato alle celebrazioni della messa e si era affacciato alla loggia di San Pietro per la benedizione Urbi et Orbi. Poi il giro in papamobile tra la folla per salutare i fedeli. E aveva scelto di passare il giovedì Santo nel carcere di Regina Coeli, insieme ai detenuti da cui era stato accolto con grande gioia ed entusiasmo.
L’annuncio del cardinale Kevin Farrell: “Carissimi fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la morte di nostro Santo Padre Francesco. Alle ore 7:35 di questa mattina il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre. La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio ed amore universale, in modo particolare a favore dei più poveri e emarginati. Con immensa gratitudine per il suo esempio di vero discepolo del Signore Gesù, raccomandiamo l’anima di Papa Francesco all’infinito amore misericordioso di Dio Uno e Trino”.

Primo pontefice gesuita e il primo proveniente dal continente americano, Bergoglio lascia – nel bene e nel male – un’impronta indelebile nella Chiesa Cattolica. Oltre dodici anni di pontificato i suoi, dal 13 marzo 2013, contrassegnati da ampie riforme, molte aperture e altrettante polemiche e tensioni, lasciando ai fedeli un’eredità complessa e non facile da gestire. Oltre a un interrogativo: chi sarà il prossimo a raccogliere il suo testimone?
Una vita tra semplicità e vocazione
Nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936 da una famiglia di immigrati piemontesi, Jorge Mario Bergoglio cresce nel quartiere popolare di Flores, primogenito di cinque figli di Mario José, un contabile, e Regina María Sivori, una casalinga. La sua infanzia è segnata da una fede semplice, coltivata nella parrocchia locale, e da un temperamento vivace: ama il tango, tifa per il San Lorenzo e, da giovane, lavora persino come buttafuori in un locale notturno. Dopo un diploma in chimica, la sua vita prende una svolta drammatica nel 1953, quando una grave polmonite lo porta a perdere parte di un polmone. È in quel momento di fragilità che avverte la chiamata divina, decidendo di entrare nella Compagnia di Gesù nel 1958. Ordinato prete nel 1969, diventa provinciale dei gesuiti argentini durante gli anni turbolenti della dittatura militare, un periodo che lo vede accusato – senza prove definitive – di ambiguità nei confronti del regime.
La sua ascesa nella Chiesa argentina culmina nel 1998, quando viene nominato arcivescovo di Buenos Aires, e nel 2001, quando Giovanni Paolo II lo crea cardinale. Già allora, Bergoglio si distingue per la sua vita austera: rifiuta la residenza episcopale per un piccolo appartamento, cucina da solo e si sposta in autobus. È questa semplicità che lo porta, nel conclave del 2013 seguito alla storica rinuncia di Benedetto XVI, a essere eletto al quinto scrutinio con il nome di Francesco, in onore del santo di Assisi, simbolo di povertà, umiltà e pace.

Papato di rottura e speranza
Dal balcone di San Pietro, la sera del 13 marzo 2013, Francesco si presenta con un saluto disarmante: “Fratelli e sorelle, buonasera”. Rinuncia alle vesti sontuose, inchinandosi per chiedere la benedizione del popolo prima di impartire la sua Urbi et Orbi. È l’inizio di un pontificato che rompe con le convenzioni, improntato a una Chiesa “povera per i poveri”, vicina agli ultimi e aperta al dialogo. La sua elezione risponde a un momento di crisi per la Chiesa, scossa dagli scandali di Vatileaks e dalla percezione di un’istituzione distante dai fedeli.
Francesco si distingue subito per gesti simbolici: lava i piedi a detenuti e musulmani durante la Messa in Coena Domini, visita Lampedusa per denunciare l’indifferenza verso i migranti, e sceglie di vivere vicino alla gente, rinunciando a molti dei simboli tradizionali del potere papale a cominciare dalla dimora, Casa Santa Marta invece che il Palazzo Apostolico.
Il suo magistero si concretizza in encicliche che segnano il tempo e riflettono i grandi problemi dell’attualità: Lumen Fidei (2013), completata da Benedetto XVI, sulla fede come luce; Laudato si’ (2015), un grido per la cura del creato che lo rende un’icona ecologista globale; Fratelli tutti (2020), un appello alla fratellanza universale; e Dilexit nos (2024), sull’amore del Cuore di Cristo. A queste si aggiungono esortazioni apostoliche come Evangelii Gaudium (2013), manifesto del suo programma, e Amoris Laetitia (2016), che apre spiragli alla comunione per i divorziati risposati, scatenando dibattiti.
Il Giubileo Straordinario della Misericordia (2015-2016) è forse il simbolo più potente del suo pontificato: milioni di pellegrini attraversano le Porte Sante, mentre Francesco visita carceri e periferie, incarnando la misericordia predicata. Quindi nel 2025, il Giubileo della Speranza, da lui inaugurato il 24 dicembre 2024 con l’apertura della Porta Santa a San Pietro e proseguito a Rebibbia. Un Anno Santo che si interrompe con la sua morte, lasciando in eredità una speranza incompiuta.

Polemiche “terzomondiste”: un papa divisivo
Ma il pontificato di Francesco non è stato tutto rose e fiori. Ammirazione ma anche critiche, a tratti violente, sono giunte per via del suo approccio “terzomondista”, radicato nella sua esperienza sudamericana e nella teologia della liberazione (alla quale però non aderì mai pienamente). Restano le sue forti denunce delle disuguaglianze globali, del capitalismo sfrenato e delle “economie che uccidono” – come scritto in Evangelii Gaudium –, prese di posizione che ne hanno fatto un paladino dei poveri, ma anche un bersaglio per chi lo ha accusato di populismo o di posizioni anti-occidentali. Le sue parole contro il colonialismo economico e le sue visite in Paesi come Cuba, Bolivia e Africa hanno rafforzato questa immagine, mentre le critiche a Israele durante i conflitti mediorientali gli sono valse addirittura l’etichetta di “anti-sionista” da parte di alcuni settori conservatori.
In Italia e in Europa, le sue aperture sull’immigrazione – “Costruire ponti, non muri” – hanno acceso forti polemiche politiche, con la destra che lo ha tacciato di essere un ingenuo idealista e la sinistra che lo ha celebrato come un profeta sociale. Eppure, Francesco non si è mai piegato alle ideologie, insistendo che il Vangelo non è né di destra né di sinistra, ma una chiamata alla giustizia.
Il rapporto con Ratzinger e i “tradizionalisti”
Controverso anche il rapporto tra Francesco e Benedetto XVI, il papa teologo che si dimise nel 2013, un unicum nella storia della Chiesa con due pontefici viventi, a pochi metri l’uno dall’altro in Vaticano. Nonostante le narrazioni di scontro, i due hanno comunque mantenuto una relazione di rispetto reciproco. La prima enciclica di Francesco, Lumen Fidei, scritta “a quattro mani” con Ratzinger, è un simbolo di continuità. Ma se le foto dei loro incontri – Ratzinger fragile in bianco, Francesco sorridente – hanno commosso i fedeli, non hanno affatto placato le tensioni tra le fazioni cattoliche e anzi hanno finito per esacerbare gli animi.

“La tradizione non è un museo, ma una radice viva”
I tradizionalisti, nostalgici del rigore dottrinale di Benedetto, hanno infatti visto in Francesco una minaccia alle loro certezze. La sua decisione nel 2021 con il motu proprio Traditionis Custodes, che ha ristretto l’uso della Messa in latino liberalizzata da Ratzinger con Summorum Pontificum, ha scatenato un terremoto. Per i lefebvriani e i gruppi conservatori, Francesco è stato un “modernista” che ha “diluito” la liturgia e la dottrina. Le sue aperture su temi come l’omosessualità (“Chi sono io per giudicare?”) e il dialogo interreligioso – come l’incontro con l’imam di Al-Azhar nel 2019 – hanno alimentato accuse di eresia. Eppure, Francesco ha sempre difeso la sua linea: “La tradizione non è un museo, ma una radice viva”.
La spettrale benedizione del 27 marzo 2020 in una piazza San Pietro vuota
Eppure, Francesco passerà anche alla storia per un momento altamente simbolico. Quando il Covid-19 ha paralizzato il mondo nel 2020, Francesco è diventato per quella parte di umanità terrorizzata dalla pandemia uno scoglio al quale aggrapparsi e una guida spirituale globale. Fortissime, comunque la si pensi e la si veda, le immagini di quella preghiera solitaria del 27 marzo 2020, in una Piazza San Pietro deserta, spettrale e sferzata dalla pioggia. Solo sul sagrato, con il crocifisso ligneo di San Marcello grondante d’acqua e il Santissimo esposto, Francesco ha impartito la benedizione Urbi et Orbi, un gesto solitamente riservato a Natale e Pasqua, concedendo l’indulgenza plenaria nel silenzio, in un clima da post-apocalittico. “Signore, non lasciarci in balia della tempesta”, ha implorato, la voce rotta dall’emozione, mentre il suono delle campane si mescolava al rumore delle sirene delle ambulanze lontane.
Quell’immagine potentissima – un papa fragile e umano che si perde in una piazza desolata e vuota, sulla quale incombe come una minaccia il cielo plumbeo – è entrata prepotentemente nella storia come simbolo di fede assoluta e ferma in un tempo dilaniato da paura, incertezze e solitudini. Durante tutta la pandemia, peraltro, Francesco ha continuato a predicare speranza, telefonando a malati e medici, e scrivendo Fratelli tutti, un’enciclica nata dalla crisi per rilanciare la solidarietà umana. Il suo ruolo è stato cruciale per i cattolici, ma anche per chi credente non è, offrendo conforto e un senso di unità in un mondo frammentato e pervaso da un atavico terrore.

Un magistero profetico
Anche sul piano del magistero il pontificato di Francesco è stato tutt’altro che trascurabile. Oltre alle encicliche, ha firmato decine di motu proprio e costituzioni apostoliche, come Praedicate Evangelium (2022), che ha riformato la Curia per renderla più missionaria, e Vos Estis Lux Mundi (2019), per combattere gli abusi sessuali nella Chiesa. Ha abolito il segreto pontificio nei casi di pedofilia, un passo applaudito come una svolta nella trasparenza. Le sue lettere apostoliche – da Patris Corde (2020) su San Giuseppe a Admirabile Signum (2019) sul presepe – hanno toccato il cuore dei fedeli con un linguaggio semplice e profondo.
I suoi viaggi apostolici – Iraq, Myanmar, Giappone – hanno portato la Chiesa nelle periferie, mentre le nomine di cardinali da Paesi marginali hanno ridisegnato il volto del Collegio Cardinalizio, preparandolo a un futuro globale. Ma non tutto è stato accolto con favore: le sue riforme, come l’apertura alle donne in alcuni ministeri laicali, hanno diviso i cattolici tra chi lo vede come un innovatore e chi come un distruttore della tradizione.
L’importanza di Francesco per i cattolici (e non solo)
Per milioni di fedeli, Francesco è stato il “papa del popolo”, un pastore che ha riportato la Chiesa alla sua missione originaria: stare con gli ultimi. La sua umiltà – le scarpe nere invece delle rosse papali, il rifiuto dei privilegi – ha ispirato una fede più autentica, mentre la sua insistenza sulla misericordia ha riavvicinato molti lontani. Per i giovani, è stato un simbolo di lotta contro l’ingiustizia climatica e sociale; per i progressisti, un riformatore; per i critici, un enigma.
La sua morte lascia un vuoto, ma anche un’eredità viva. Il Giubileo della Speranza, interrotto ma non spento, riflette il suo messaggio: credere in un futuro migliore, nonostante tutto. Francesco non ha risolto tutte le divisioni della Chiesa, ma ha piantato semi che germoglieranno nel tempo. Come disse una volta: “Non abbiate paura di sognare in grande”. Oggi, quel “sogno” resta nelle mani dei cattolici e di quel mondo che proprio come il Poverello di cui ha scelto di portare il nome, papa Francesco ha sempre ardentemente cercato di abbracciare.