Le differenze di retribuzione tra sessi è ancora una realtà: nel 2023 le donne hanno guadagnato il 7,3% in meno rispetto agli uomini. Stereotipi, ruoli imposti e discriminazioni sociali alimentano questa disuguaglianza.
Opinione diffusa della pedagogia è che le differenze di genere maschio/femmina non sono solo peculiarità biologiche, ma determinate dai rispettivi ruoli. Il maschio non deve piangere, è una peculiarità delle femmine, i giochi scelti sono diversi da un genere all’altro. Quindi ad ambedue viene quasi imposto di conformarsi ai modelli culturali vigenti. C’è da dire che questa visione sembra superata dalla realtà, nel senso che oggi, anche tra i bambini, esiste una certa fluidità nella percezione dei ruoli.
Comunque, è da questa struttura sociale, che si è determinato quello che è stato definito come “gender pay gap”, ossia il divario retributivo a tutto svantaggio delle donne. Le ultime stime dell’Istat indicano che le donne nel 2023 hanno riscosso 2300 euro in meno annui rispetto agli uomini, con un divario pari al 7,3%. Seppure è un dato in calo rispetto agli anni precedenti, è, tuttavia, ancora rilevante, a conferma che i maschi cercano di tenersi la “borsa” ben stretta.
La disparità retributiva e di genere dipendono da varie cause frutto di valori culturali radicati nel modello occidentale. Tanto per ricordarne una, il lavoro di cura delle famiglie e degli anziani è ancora, quasi sempre, a carico delle donne.
Per soddisfare queste esigenze, le donne, sono costrette a prendersi delle aspettative, spesso senza stipendio o ad optare per il lavoro part time. Inoltre, sono penalizzate dalla maternità e, quindi, considerate meno attendibili, da cui ne deriva un basso stipendio. Le posizioni manageriali sono dominio assoluto dei maschi e, di conseguenza, è molto bassa la presenza femminile nei ruoli di vertice. Nel nostro Paese, poi, è alta la probabilità che le donne siano assunte con contratti per così dire “anomali”, vale a dire precari, a tempo determinato e part-time quasi imposti, di sicuro non scelti.
La moderna sociologia ritiene che maschi e femmine interiorizzano i ruoli legati al loro sesso con la socializzazione, quel meccanismo per cui si trasmettono le informazioni attraverso consuetudini e istituzioni che trasferiscono il patrimonio culturale accumulato fino ad allora alle nuove generazioni. Sin dalla nascita si assimilano genere, identità, ruoli e comportamenti. Gli attori che partecipano a questo processo sono tanti: famiglia, ambiente sociale, scuola e spazi di ricreazione. Inoltre, sono decisivi anche la cultura popolare e i mass media, che ripropongono gli stessi modelli stereotipati. Insomma ci si fossilizza nei ruoli stabiliti e vengono disapprovati atteggiamenti non conformi ai loro generi.
E’ chiaro che uno stereotipo è una semplificazione di una realtà più complessa. Infatti, vigono ruoli e codici ben definiti che, in certo senso facilitano il compito. Nella complessità le varie anime che la compongono, al contrario, si esprimono nella massima libertà. In un contesto gerarchizzato sin dai primordi, dalle istituzioni e dalle agenzie educative, scuola, parrocchia e luoghi ricreativi, la disparità di genere trova il suo humus fertile. Non è che poiché esista dalla notte dei tempi, debba forzatamente essere sempre così. Le istituzioni culturali sono soggette a mutamenti e, quindi, si spera lo siano anche i loro paradigmi. Perché una situazione del genere è inaccettabile per coloro che hanno a cuore i diritti fondamentali delle persone!