La diatriba è tra Generazione Z e Millennial dopo che la giovane attrice Jennifer Lawrence ne ha indossati un paio fino alla caviglia.
Roma – La battaglia dei… calzini! Nemmeno i calzini vengono lasciati in pace: si è scatenata una diatriba sulla loro lunghezza dallo scorso autunno su TikTok, noto social seguitissimo dai più giovani. La contesa sembrava essersi placata, fino alla recente pubblicazione su “Vogue”, periodico mensile statunitense con edizioni in varie lingue in tutto il mondo e considerata una delle più prestigiose e autorevoli riviste di moda, di un articolo sulla giovane attrice Jennifer Lawrence che indossava calzini fino alla caviglia, detti nel gergo giovanile “i calzini dei Millennial”. Com’è noto si tratta dei nati tra il 1980 e il 1994, così definiti in quanto divenuti maggiorenni nel nuovo millennio.
Quale terribile sacrilegio ha commesso la nota attrice per suscitare tanto dibattito? Ha compiuto una scelta libera, legittima, perché ognuno può indossare quello che gli pare, ma considerata obsoleta, roba da vecchi (l’attrice ha 33 anni) e di pessimo gusto, dalla Generazione Z, i nati tra il 1997 e il 2012. Ovvero, della prima generazione, definita dei “nativi digitali”, ad essere nata e cresciuta potendo usufruire sin dalla tenera età di Internet e dei dispositivi tecnologici. Quindi, avvezza all’uso della tecnologia e dei social media, che influiscono in maniera significativa sul loro processo di socializzazione. Forse per questo ha “la puzza sotto il naso”, come si suole dire nello slang popolare, in quanto spesso, sui social, deridono i Millennial.
Per la cronaca, la Generazione Z ama indossare calzini dalla caviglia in su portati con disinvoltura con vari tipi di scarpe o sandali. Sui social è tutto un flusso continuo di video in cui la Generazione Z sbeffeggia i Millennial proprio per l’utilizzo dei calzini, che sono diventati iconici per distinguere una generazione dalle altre. La lunghezza del calzino è assurta al ruolo di strumento di identificazione, quasi come una carta d’identità. Ovviamente nello scontro dialettico, il dibattito si è acceso. I Millennial, infatti, rivendicano con orgoglio l’uso dei calzini corti, perché quelli alti provocano disagio e fastidio. Questi ultimi ricordano loro quando i genitori li costringevano ad indossarli, da piccoli. Una volta cresciuti, per differenziarsi li sostituirono con quelli corti, un modo per rivendicare la loro autonoma idea di frescura.
È, all’incirca, lo stesso processo attraverso il quale la Generazione Z considera disgustosi quelli bassi e, quindi, si distingue dalla precedente, rispolverando quelli alti dei “Baby boomer”, diventati di tendenza. L’ennesima conferma che, anche nella moda, i processi sociali sono caratterizzati da “corsi e ricorsi storici” di vichiana memoria, secondo cui appunto determinati eventi e avvenimenti vengono ciclicamente riproposti. Col termine “Baby boomer” viene comunemente indicata una persona nata in Nord America o in Europa tra il 1946 e il 1964, il cosiddetto periodo dell’esplosione demografica avvenuta in quel periodo, noto col termine “baby boom”, che proseguì parallelo al boom economico registrato in quei paesi nel secondo dopoguerra.
Un articolo apparso sul “New York Times” (prestigioso e antico quotidiano statunitense) ha evidenziato che queste tendenze sono strettamente legate alle culture giovanili. Infatti, il “look”, l’aspetto esteriore, è sempre stato considerato il mezzo più diretto di comunicare il proprio modo di essere, la propria appartenenza sociale, la propria identità culturale. Al di là degli aspetti psicologici o sociologici, quello economico sta assumendo dimensioni rilevanti. Le vendite di calzini alti, quelli sopra la caviglia, che tanto piacciono alla Generazione Z, infatti, nel 2023, secondo dati diffusi da “Forbes” (bisettimanale statunitense di finanza ed economia) sono cresciute dell’8%, così come quelle dei calzini bassi, che i Millennial trovano irresistibili. La società complessa, come quella in cui viviamo, è anche questo: si apre un dibattito per mesi su dei calzini. “Così è se vi pare”, tanto per citare l’opera teatrale di Luigi Pirandello, poi Nobel della letteratura nel 1934!