Dietro l’omicidio di Totò Bellocco gli “affari sporchi” del mondo degli ultrà interisti

Il delitto di Cernusco riapre vecchi legami e intrecci della vittima e di altri ultras con gli ambienti mafiosi. Sotto tutela i familiari del presunto assassino per timore di ritorsioni

CERNUSCO SUL NAVIGLIO (Milano) – Calcio, affari sporchi e ‘ndrangheta dietro l’omicidio di Antonio Bellocco, detto Totò ‘u Nanu, 36 anni, sposato con due figli, pregiudicato, degno erede del defunto padre Giulio e, soprattutto, del nonno Umberto, storico capobastone della ‘ndrangheta della piana di Gioia Tauro, deceduto nel carcere di Opera nel 2022. L’uomo è morto ammazzato a Cernusco sul Naviglio per mano del suo migliore amico, o presunto tale, Andrea Beretta, 49 anni, pregiudicato, capo storico degli ultras interisti. Dopo una condanna definitiva per mafia la vittima si era trasferita a Milano con la famiglia e più volte aveva sostenuto di essere uscito fuori dagli ambienti malavitosi ma l’antimafia non gli avrebbe mai tolto gli occhi di dosso.

Davanti a sinistra la vittima, dietro Andrea Beretta con un amico comune

Da qualche anno era diventato un personaggio di spicco della tifoseria neroazzurra più intollerante grazie anche alla presenza di Beretta che, di contro, era diventato negli anni un vero e proprio leader della Curva Nord, condannato più volte per reati da stadio e con un Daspo di 10 anni sul groppone. I due erano diventati inseparabili tanto che la sera prima del fatto di sangue Bellocco e Beretta avevano giocato insieme a calcetto. Una sorta di sfida fra amici milanisti e interisti. Finita la partita si erano lasciati come sempre, abbracciandosi. L’indomani, verso le 11, i due uomini si rincontrano nel cortile della scuola di pugilato “Testudo” di via Besozzi 2, a Cernusco sul Naviglio, alle porte di Milano. La struttura sportiva è frequentata da diversi esponenti nerazzurri e anche i due presunti amici ci si incontravano spesso.

Anche quella tragica mattina del 4 settembre scorso, al termine del solito allenamento di Beretta, i due iniziavano a litigare di brutto per poi venire alle mani. Mentre Beretta aggrediva Bellocco, secondo una ricostruzione degli investigatori, quest’ultimo saliva a bordo della sua Smart bianca, con targa elvetica e presa a nolo, parcheggiata nel cortile della palestra. Per tutta risposta il leader degli ultrà nerazzurri seguiva la vittima dentro la vettura continuando a malmenarla con calci e pugni. A questo punto Bellocco estraeva dalla fondina ascellare una semiautomatica e faceva fuoco contro Beretta, colpendolo al fianco sinistro. L’ultrà, nonostante la ferita, estraeva un coltello a serramanico con il quale avrebbe sferrato ben 21 fendenti contro Bellocco il quale, colpito in punti vitali come gola e torace, si accasciava sul sedile lato conducente in un lago di sangue e spirava poco dopo.

La salma trasferita in obitorio

A questo punto Beretta usciva fuori dall’auto ma vi rientrava poco dopo continuando ad infierire sul corpo senza vita di Bellocco con altre coltellate. Alcuni amici di Beretta tiravano di forza l’uomo dall’auto della vittima cercando di calmarlo mentre in zona giungevano diverse pattuglie dei carabinieri che procedevano al fermo del presunto assassino, difeso dall’avvocato Mirko Perlino:” Mi sono difeso, sennò mi ammazzava”, avrebbe detto a caldo Andrea Beretta, ammettendo in parte le proprie responsabilità. Il movente dell’omicidio è ancora da chiarire. L’ipotesi più accreditata è quella che Beretta avesse timore di essere ammazzato da killer del clan Bellocco ma il perché si potrà definire nei prossimi mesi qualora la criminalità organizzata di Rosarno decida o meno di vendicare la morte di un proprio affiliato.

Andrea Beretta

Secondo indiscrezioni sull’autopsia della vittima, eseguita il 9 settembre scorso, l’ultrà calabrese, membro del direttivo della curva interista, sarebbe stato centrato da 21 fendenti, 11 dei quali letali: 6 di questi avrebbero dilaniato il cuore ed altri 5 avrebbero centrato il collo e i grandi vasi sottostanti. Il violento litigio scoppiato fra i due però potrebbe avere a che fare con una certa attività di merchandising “Milano siamo noi“, corrente a Pioltello, in via Andrea Mantegna 42, gestita da Andrea Beretta.

“Milano siamo noi”, la rivendita di gadget e abbigliamento interista

Pare che sul negozio di indumenti e gadget per interisti, lo dice lo stesso indagato per omicidio ai magistrati inquirenti, Totò ‘u Nanu avesse qualche interesse forse pretendendo parte degli incassi. L’attività commerciale, nel mirino degli investigatori da tempo, potrebbe essere una copertura che si aggiungerebbe ad altri affari illeciti in cui avrebbero le mani in pasta ultrà interisti come il traffico di droga, la gestione dei parcheggi e di tutto l’indotto economico illegale che ruota attorno allo stadio di San Siro.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa