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Depistarono, ma la prescrizione li salva: non luogo a procedere per tre poliziotti. La verità su via D’Amelio resta lontana

La Corte d’appello non ha assolto gli imputati Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ma è passato troppo tempo. Cade l’aggravante mafiosa.

Palermo – I giudici della Corte d’Appello di Caltanissetta hanno emesso la sentenza del processo d’appello sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio: non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Cadono quindi le accuse di calunnia aggravata dall’aver favorito la mafia, contestate al funzionario di polizia Mario Bo e all’ispettore Fabrizio Mattei, investigatori del pool che condusse le indagini sulle stragi mafiose del ’92. Stessa decisione è stata presa per il terzo imputato, l’agente Michele Ribaudo che, invece, in primo grado era stato assolto per mancanza di dolo. La sentenza è arrivata dopo otto ore di camera di consiglio.

A 32 anni dall’attentato di via D’Amelio, che il 19 luglio 1992 costò la vita al giudice Paolo Borsellino e a cinque agenti della scorta, la verità resta dunque lontana, sepolta dalla prescrizione che impedisce ancora una volta di avere un verdetto di colpevolezza su quello che i giudici definirono “il più grave depistaggio della storia repubblicana”.

“Sono molto, ma molto amareggiato”, ha dichiarato Gaetano Murana, una delle sette vittime innocenti condannate ingiustamente all’ergastolo per le accuse, poi rivelatesi false, del pentito Vincenzo Scarantino, prima di lasciare l’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta dopo la sentenza.

Via D’Amelio a Palermo pochi istanti dopo la strage

In attesa delle motivazioni della sentenza è certo che il collegio, optando per la prescrizione, non ha ritenuto di poter assolvere i tre imputati nel merito. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, sotto la guida dell’allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera, poi deceduto, i tre investigatori avrebbero costruito a tavolino una falsa verità sull’attentato, costringendo personaggi come Vincenzo Scarantino, piccolo contrabbandiere del quartiere Guadagna assurto al rango di superteste, a incolpare dell’eccidio mafiosi che con l’autobomba di Via D’Amelio non c’entravano nulla. Da qui l’accusa di concorso in calunnia contestata ai tre imputati, aggravata, secondo l’accusa, dall’aver favorito la mafia. “E’ stata esclusa l’aggravante mafiosa per tutti gli imputati ma, a differenza del primo grado, è stata riconosciuta la responsabilità dell’imputato Michele Ribaudo la cui posizione è stata dichiarata prescritta perché è passato troppo tempo dal momento dei fatti. Quindi è un mezzo accoglimento di quelli che sono stati i motivi di appello della procura generale e un totale rigetto di quelli delle altre parti”, ha commentato il procuratore generale di Caltanissetta Fabio D’Anna, pubblica accusa insieme al sostituto Gaetano Bono e al pm Maurizio Bonaccorso, applicato dalla Procura. “Tre soggetti – ha continuato D’Anna – li abbiamo sicuramente individuati, e sono gli odierni imputati, gli altri concorrenti sono deceduti o comunque nei loro confronti non si è proceduto”.

Le auto sventrate dall’esplosione in via D’Amelio: era il 19 luglio 1992

“A nome della famiglia Borsellino, che io rappresento, considerata l’assoluta serietà del collegio e rinviando ogni valutazione più approfondita alla lettura delle motivazioni, credo che oggi sia stato fatto un passo importante in relazione a quello che è stato opportunamente definito il più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana”, ha detto l’avvocato Fabio Trizzino, legale della famiglia del giudice Paolo Borsellino.

“E’ una sentenza importante – ha spiegato Trizzino – perché, benché abbia escluso l’aggravante agevolativa, amplia lo spettro della responsabilità sia di Mattei che di Ribaudo, e anche di Bo. Probabilmente la Corte riuscirà a spiegare bene i motivi per cui nonostante le nostre prospettazioni l’aggravante sia stata ritenuta insussistente”. “Io sono soddisfatto – ha concluso – perché viene sancito, con fermezza, che tre appartenenti alla polizia di stato hanno concorso a depistare le indagini sulla strage di via D’Amelio e io ritengo che questo sia un fatto estremamente grave. Per certi diversi dispiace che a pagare siano solo loro perché questo processo presenta numerosi convitati di pietra che avrebbero dovuto essere sul banco degli imputati, ma purtroppo quando lo Stato esercita la propria potestà punitiva a 30 anni di distanza dagli eventi questo è il rischio che si corre”.

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