APE ODV denuncia l’assenza della salute riproduttiva nelle politiche sulla natalità e chiede più prevenzione e diagnosi precoce.
Il dato è arrivato come un macigno: ancora un calo delle nascite in Italia. E ancora una volta il dibattito pubblico si concentra su bonus bebè, asili nido, precarietà lavorativa. Tutti temi giusti, urgenti, necessari. Ma c’è un elefante nella stanza di cui nessuno parla: la salute riproduttiva delle donne.
E in particolare, l’impatto che patologie come l’endometriosi hanno sulla possibilità di diventare madri. A lanciare l’allarme è APE ODV (Associazione Progetto Endometriosi), che chiede a gran voce l’inserimento della salute riproduttiva femminile nelle politiche sulla natalità.
L’endometriosi è una malattia cronica infiammatoria che colpisce circa tre milioni di donne italiane, una su dieci in età fertile. Le conseguenze sulla fertilità sono documentate dalla letteratura scientifica internazionale: fino al 40% delle donne con endometriosi può incontrare difficoltà nel concepire. Le cause? Infiammazione pelvica cronica, aderenze, danno ovarico, alterazioni immunologiche e ormonali che compromettono l’impianto embrionale.
“Ogni volta che si parla di denatalità senza parlare di salute riproduttiva, si sta ignorando una verità scomoda: ci sono donne che vorrebbero diventare madri, ma non possono”, dichiara Annalisa Frassineti, presidente di APE ODV. “E non per scelta, ma perché lo Stato non ha investito abbastanza nella diagnosi precoce, nella formazione dei medici e nella tutela della fertilità”.
Il punto è proprio questo: molte donne non rinunciano alla maternità per libera scelta, ma perché arrivano troppo tardi. Troppo tardi alla diagnosi, troppo tardi alle cure, troppo tardi alla consapevolezza del proprio corpo.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, il ritardo medio nella diagnosi di endometriosi in Italia è ancora di 7-9 anni. Anni preziosi, durante i quali la malattia progredisce e può compromettere la fertilità in modo irreversibile. Anni in cui le donne cercano risposte, vengono minimizzate e rimbalzate da uno specialista all’altro.
“Non possiamo più permetterci di considerare la fertilità solo una questione individuale o una scelta personale”, aggiunge Jessica Fiorini, vicepresidente di APE ODV. “È una possibilità biologica che va tutelata come diritto. E questo passa dalla prevenzione, dalla diagnosi precoce, dall’informazione”.
APE ODV mette nero su bianco quello che nessuna strategia nazionale sulla natalità ha mai incluso: un capitolo dedicato alla salute riproduttiva femminile. Le proposte sono concrete e praticabili:
- Potenziare la formazione dei medici di base e dei ginecologi perché riconoscano precocemente i sintomi dell’endometriosi e indirizzino le pazienti ai centri specializzati;
- Attivare percorsi di preservazione della fertilità nelle pazienti giovani a rischio;
- Garantire accesso pubblico e omogeneo alla Procreazione Medicalmente Assistita per chi convive con una diagnosi che riduce le possibilità di concepimento naturale;
- Inserire l’educazione alla fertilità e alla salute mestruale nei programmi scolastici, per formare generazioni consapevoli del proprio corpo.
“Finché non riconosceremo che anche la malattia può essere una causa di denatalità, continueremo a intervenire troppo tardi e nel modo sbagliato”, conclude Annalisa Frassineti. “Non servono solo bonus: serve una politica sanitaria che metta davvero al centro il corpo e la salute delle donne”.
Perché in fondo è di questo che si tratta: di giustizia. Non tutte le donne partono dalle stesse condizioni biologiche per diventare madri. E se lo Stato vuole davvero invertire la tendenza demografica, deve garantire a tutte le stesse opportunità, non solo economiche, ma anche sanitarie.
Parlare di endometriosi quando si affronta il problema della denatalità non è fare una battaglia di nicchia. È guardare il problema nella sua interezza. È riconoscere che senza salute delle donne, non ci può essere una vera politica della natalità.
Per informazioni: www.apendometriosi.it