Ventiquattro anni fa l’omicidio di Francesca Moretti, sociologa innamorata di un ragazzo rom sposato. Processarono la coinquilina, ma finì assolta. Buchi e ritardi nell’inchiesta e un killer in libertà.
ROMA – Il 22 febbraio del 2000 spirava su un letto dell’ospedale San Giovanni in Laterano, Francesca Moretti, pesarese di 29 anni, laureata a pieni voti in Sociologia a Urbino. La ragazza aveva in corpo circa 200 milligrammi di cianuro che dopo due ore di agonia, fra atroci spasmi, portarono la giovane a morte senza che i medici potessero salvarla. Francesca si era sentita male nella sua casa di via Scalo di San Lorenzo 61, a Roma, subito dopo pranzo. Una delle due coinquiline, Daniela Stuto, all’epoca di 26 anni, originaria di Lentini in provincia di Siracusa, studentessa di Psicologia, aveva preparato, secondo la ricostruzione degli investigatori, una minestra nella quale aveva aggiunto un formaggino.
Francesca, alcuni giorni prima della tragedia, aveva chiamato un medico per un fastidio alla schiena. Per il sanitario si sarebbe trattato di lombosciatalgia da curare con antinfiammatori e analgesici. La sociologa marchigiana però peggiora di giorno in giorno, finché il medico le ordina il ricovero. Francesca scrive sul suo diario: ”Sto male e so che non è una semplice influenza“. La patologia la blocca a letto da dove si alza di rado mentre le due coinquiline si prendono cura di lei. Oltre a Daniela Stuto, detta Dany, c’è Mirela Nistor, detta Miry, al tempo di 27 anni, cameriera rumena, che lavora in un bar a poca distanza da casa.
Le due amiche tentano di farla mangiare e ci riescono. Francesca, per le amiche Francy, mangia la minestrina, una mela e torna a letto. Nel frattempo Dany esce di casa per fare la spesa e di lì a poco anche Miry tornerà in via Scalo di San Lorenzo dopo il turno al bar. La sociologa si sente male e nel giro di alcuni minuti peggiora contorcendosi per i crampi addominali. Ha le gambe gonfie, la pelle è cosparsa di ematomi e urla dal dolore. Mirela, impaurita, avvisa per telefono il suo fidanzato poliziotto che giunge sul posto e chiama i soccorsi. La pregressa, presunta lombosciatalgia che costringeva Francesca a letto e quest’altra disgrazia proprio non ci volevano.
Il 23 febbraio, infatti, la sociologa sarebbe dovuta partire con il suo fidanzato, il ventiseienne bosniaco Graziano Halilovic, figlio del capo-rom Vajro, alla volta di Urbino dove la giovane voleva ritornare per vivere lontano da Roma e, soprattutto, lontano dalla moglie dell’uomo, tale Fatima, madre di 5 figli avuti da Graziano. La donna più volte aveva detto a Francesca di lasciare il marito con le buone per poi passare a insulti e minacce. La fuga d’amore salta e a bordo di un’ambulanza Francesca Moretti, accompagnata da Daniela Stuto, farà la sua corsa disperata verso l’ospedale dove morirà due ore dopo il ricovero. I medici pensano ad uno shock anafilattico per via dell’ingestione di un analgesico ma niente da fare, non è quella la causa. Maria Assunta Berloni, la madre di Francesca, si precipita a Roma.
Davanti alle amiche della figlia si mette a urlare: “Me l’hanno uccisa”. Daniela e Mirela, spaventate, le chiedono il perché di quella frase e la donna risponde: “Me l’ha detto Francesca, l’ho letto il suo diario”. Quel diario non finirà mai nel fascicolo dell’inchiesta. Che cosa conteneva di tanto compromettente quel documento intimo? Segreti inconfessabili? Cinque mesi dopo, un ritardo enorme e ingiustificato, l’autopsia accerterà che Francesca è stata uccisa da una forte dose di cianuro, veleno che ormai non usa più nessuno per ammazzare.
Nel frattempo gli inquirenti non avevano sequestrato la casa dove abitava la vittima, dunque alcuni importanti indizi non verranno mai repertati. Per la “minestrina al cianuro” verrà arrestata la studentessa siciliana che si farà una notte in galera e 15 mesi ai domiciliari. Il movente? “Gelosia saffica” si leggerà negli atti, sulla scorta di alcune telefonate scherzose tra amiche che avrebbero alluso ad un rapporto sessuale fra lesbiche: ”Stiamo facendo zin zin”, si sente nell’intercettazione. Risultato? Un errore clamoroso. La studentessa di psicologia verrà assolta e risarcita con 52mila euro. Di chi era quell’ombra vista nel corridoio di casa e mai identificata?