Svolta nelle indagini sul ferimento di Annarita Taddeo. Indagato il presunto mandante, Nicola Fallarino, già detenuto. 28 persone perquisite.
Benevento – Sono ventisette le persone, tutte di Benevento, che compaiono nel decreto di perquisizione e sequestro firmato dal pm Stefania Bianco nell’indagine della Squadra mobile sul ferimento di Annarita Taddeo, 32 anni, di Benevento, centrata da un colpo di pistola alla fronte, l’11 novembre, che per fortuna non le causò danni gravissimi. Un delitto del quale è ritenuto il presunto mandante Nicola Fallarino, 38 anni, detenuto in Sicilia, ex compagno della 32enne, al quale è stata notificata una ordinanza in carcere adottata dal Gip su richiesta del Pm.
Ancora da identificare, invece, colui che aveva fatto fuoco. I sospetti si erano addensati nell’immediatezza su un 28enne che, difeso dall’avvocato Marianna Febbraio, era rimasto per ore in Questura: gli era stato praticato lo stube, risultato negativo, poi era stato rilasciato e denunciato a piede libero.
Sulla base delle carte dell’inchiesta ecco la ricostruzione del tentato omicidio: la vittima esce di casa con il cane per andare al lavoro nel bar che gestisce a Benevento. Sul pianerottolo si trova di fronte un uomo che, volto coperto da un casco, le spara in testa da distanza ravvicinata. La donna si accascia al suolo senza perdere i sensi e si finge morta. Intanto l’aggressore entra nell’appartamento, fruga nella borsa della vittima e si impossessa di due cellulari e 2mila euro. Soccorsa, la 32enne viene trasportata al San Pio ed operata.
Nella stessa mattinata partono le indagini. Le immagini acquisite dalle telecamere di sorveglianza della zona confermano che l’aggressore si è allontanato indossando un casco integrale a bordo di uno scooter, risultato in seguito di provenienza furtiva, rubato a Napoli e trasportato e nascosto a Benevento alcuni giorni prima del fatto pronto per essere utilizzato per l’agguato.
Nel corso delle prime attività investigative vengono sequestrati un bossolo calibro 6,35 e la relativa ogiva estratta direttamente dalla fronte della vittima, nonché i due telefoni cellulari di cui si era disfatto l’autore del fatto a breve distanza dal luogo del reato dopo aver provveduto a danneggiarli per tentare di distruggere le prove della responsabilità in capo all’uomo oggi arrestato.
Infatti, la successiva analisi forense effettuata sui cellulari consente di recuperare alcuni fondamentali messaggi dai quali emerge chiaramente che Nicola Fallarino aveva maturato il proposito di attentare alla vita della ex compagna già diversi giorni prima del tentato omicidio, perché non tollerava l’interruzione della relazione, che li legava da tempo, e dei colloqui in carcere da parte della donna e la nuova vita sentimentale della stessa e pretendeva, a causa di ciò, che la stessa abbandonasse l’appartamento in cui avevano convissuto e l’attività commerciale da lei gestita da tempo, che riteneva di sua proprietà.
Nei messaggi alla donna l’uomo indagato la minacciava reiteratamente che l’avrebbe fatta sparare, le avrebbe fatto incendiare tutto quanto posseduto dalla stessa e dalla sua famiglia, dalla casa alla macchina alle attività commerciali, che le avrebbe fatto terra bruciata intorno, costringendola così da indurla ad allontanarsi da Benevento, quale pena da pagare per essersi allontanata da lui.
Venivano, quindi, avviate attività di intercettazione, tra l’altro, su più utenze in uso all’indagato, sia pure in stato di detenzione, dalle quali emergeva che l’uomo, dopo aver appreso del fallimento del tentativo, affermava senza mezzi termini che, nonostante fosse detenuto, aveva ugualmente la possibilità di far uccidere chiunque, in qualsiasi momento, fin dentro il letto di casa, ed anche con estrema facilità, potendo contare su numerose amicizie, maturate anche in ambiente carcerario, con soggetti pronti a raggiungere Benevento, a colpire ed andare via.
Continuava a pretendere, inoltre, che la vittima e la sua famiglia gli restituissero il bar altrimenti sarebbero morte entrambe, madre e figlia (odierna vittima del tentato femminicidio contestato) e che stava aspettando che uscisse di galera il padre della vittima per far uccidere anche lui, oltre a voler far saltare in aria il bar con delle bombe che aveva nella sua disponibilità, a riprova della fitta rete di uomini di fiducia disposti ad eseguire i suoi ordini anche quelli più gravi e complessi.
Non lesinava, peraltro, in ulteriori conversazioni, continue minacce di morte e/o di spedizioni punitive di altro genere anche contro i presunti nuovi compagni della donna, attuali ed eventualmente futuri, nonché contro tutti i soggetti rei di essersi schierati dalla parte della donna ed otteneva dal proprio interlocutore, soggetto libero, un controllo morboso e quotidiano sugli spostamenti e le frequentazioni della vittima, così dimostrando di poter contare di una fitta rete di appoggio fatta anche di soggetti liberi che gli consentivano anche, nonostante lo stato di detenzione, di monitorare, fino al giorno dei fatti, finanche tutto quanto avveniva nell’attività commerciale da lui rivendicata mediante un impianto di videosorveglianza direttamente collegato al proprio cellulare. Emergeva anche che l’indagato intrecciava rapporti con numerosi soggetti disponibili a farsi intestare fittiziamente attività commerciali anche dopo il grave evento. Ed ancora rappresentava in più di una occasione che la cessazione della relazione sentimentale, evidentemente decisa dalla donna e da lui mal subita e vissuta come un’onta, doveva portare con sé la fine di tutti i “benefici” ad essa connessi.
Alla luce degli esiti di tutte le attività di indagine e delle intercettazioni, emergevano, dunque, gravi indizi in ordine alla circostanza che l’indagato avesse premeditato e ordinato l’omicidio della donna per il risentimento e la rabbia per la fine della relazione con la stessa che, resistendo strenuamente a tutte le minacce subite, da mesi non si recava più a colloquio, pretendendo di costringerla, conseguenzialmente, a lascargli il bar– del quale non risulta neppure formalmente proprietario – e l’appartamento di via Ferrara n. 2/B, in cui la donna continuava ad abitare.
Tale movente si accompagnava anche al suo sospetto che la donna stesse progettando di uccidere il figlio quale ritorsione per tutte le minacce da tempo subite ad opera dell’indagato. Sempre nel corso della mattinata, contestualmente all’esecuzione della misura cautelare, con l’ausilio di personale del Reparto Prevenzione Crimine e della Polizia Penitenziaria, al fine di accertare compiutamente i fatti ed in particolare, al fine di giungere all’identificazione dei correi e della vasta rete di appoggio al detenuto, sono state eseguite perquisizioni personali, locali ed informatiche, con conseguente sequestro di corpi del reato o cose pertinenti al reato nei confronti di 28 soggetti liberi residenti nella provincia di Benvevento, 2 soggetti detenuti presso la locale casa circondariale e 10 soggetti detenuti presso la casa circondariale di Augusta (SR). Nel corso delle perquisizioni sono stati sequestrati 3 telefoni cellulari presso il carcere di Augusta, numerosi altri, oltre pc e tablet, da esaminare, presso le abitazioni, 3,50 gr. di hashish, 4,30 grammi di cocaina con arresto in flagranza del possessore, numerosi titoli di credito di importo rilevante su cui saranno svolte indagini.
Infine, sempre questa mattina è stato portato ad esecuzione e notificato al detenuto il provvedimento di esecuzione di pene concorrenti nei confronti di condannato già detenuto con il quale, in seguito a decisione della Corte di Assise di Benevento, in funzione di giudice dell’esecuzione, su richiesta della medesima procura, applicava l’ergastolo ma con l’isolamento diurno per la durata di anni uno e pene accessorie, atteso che lo stesso doveva espiare oltre l’ergastolo una pena cumulata di anni 26 e mesi 8 di reclusione, per altre condanne. Nell’atto vengono ipotizzati, oltre al tentato omicidio, anche il porto e la detenzione illegale di armi, lo stalking, l’estorsione e la rapina.
Nell’elenco dei destinatari delle “visite” degli agenti del vicequestore Flavio Tranquillo, finalizzate ad acquisire ogni elemento utile all’attività investigativa (mezzi, tablet, pc, cellulari, lettere, munizioni) figurano Annarita T., 32 anni, Raouda B., 60 anni, Anna T. 69 anni, Angelina T., 57 anni, Maria T. , 68 anni, Vincenzina T. , 54 anni, Teresa A. , 43 anni, Luciano M. , 51 anni, Davide D. M., 51 anni, Renata L. 67 anni, Angelo D. G., 44 anni, Ahmad. A., 28 anni, Valerio P., 19 anni, Oscar M. 50 anni, Giuliana D. N., 65 anni, Giovanni F. , 66 anni, Raffaella P., 37 anni, Rosa F., 34 anni, Roberto F., 32 anni, Alessia P. 42 anni, Emanuele S., 38 anni, Antonio B., 47 anni, Francesco C. , 21 anni, Antonio T., 42 anni, Grazia T., 78 anni, Pompeo A., 30 anni, e un 15enne, difesi, tra gli altri, dagli avvocati Vincenzo Sguera, Antonio Leone, Pierluigi Pugliese, Gerardo Giorgione.
La perquisizione per Roberto Fallarino, 32 anni, è invece sfociata nel suo arresto in flagranza per detenzione di sostanze stupefacenti, contestata dopo il rinvenimento nell’abitazione di 10 involucri contenenti cocaina. Il giovane è stato sottoposto ai domiciliari.