Dal Parlamento europeo via libera definitivo al “Net-Zero Industry Act”, che guarda agli obiettivi sulla transizione entro il 2020.
Bruxelles – Costruire un’industria a zero emissioni per rispondere alla domanda, sempre più alta, di tecnologie pulite. Arriva il via libera definitivo al ‘Net-Zero Industry Act’, la prima legge che vincola il continente a produrre tra i suoi confini il 40% del fabbisogno annuo di materiali clean-tech necessari alla transizione green entro il 2030 e a raggiungerne il 15% del valore di mercato su scala globale. Una risposta made in Europe di Bruxelles – sempre più stretta tra la concorrenza cinese e il maxi piano di sussidi statunitensi da 370 miliardi di dollari, l’Inflation Reduction Act (Ira) – che eleva anche il ruolo del nucleare.
“La domanda” di tecnologie green “è in crescita in Europa e nel mondo, e ora siamo in grado di soddisfarne una parte maggiore con un’offerta europea”, ha sintetizzato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, promotrice un anno fa del Piano industriale per il Green Deal, di cui il ‘Net-Zero Act’ è pilastro centrale. Il regolamento contempla un elenco di tecnologie strategiche che godranno di permessi accelerati e potranno ricevere finanziamenti Ue. E tra loro – dopo lunghi mesi di negoziati dominati dal braccio di ferro tra Parigi e Berlino – trova un posto di rilievo anche l’atomo, determinando la vittoria della linea francese.
Insieme alle tecnologie per la fissione nucleare e al ciclo del combustibile nucleare, nell’elenco figurano anche i pannelli solari, le pale eoliche onshore e le tecnologie per le energie rinnovabili offshore; batterie e stoccaggio dell’energia, ma anche pompe di calore e idrogeno. Sul regolamento, per quanto innovativo, pesa tuttavia il nodo delle risorse: il Net-Zero Act non dispone di alcun nuovo impegno finanziario da parte dell’Ue. Di fatto, Bruxelles si limita a incoraggiare i governi a utilizzare i proventi ricavati dal nuovo mercato Ue del carbonio, il sistema Ets di scambio delle emissioni che traduce in pratica il principio ‘chi inquina paga’.
Non solo industria green. Con le elezioni europee ormai alle porte, accelera anche l’impegno della presidenza belga dell’Ue per chiudere quanti più dossier possibili del Green Deal.
Dal Consiglio Ue – riunito in formato Agricoltura – è arrivato l’ok anche alle nuove norme sull’ecodesign per la progettazione ecocompatibile dei prodotti, che tra le altre cose introducono un divieto di distruzione dei vestiti invenduti e un passaporto digitale per le informazioni degli stessi prodotti. E i ministri hanno confermato l’accordo con l’Eurocamera che secondo Roma – unica al tavolo ad astenersi – non ha garantito di raggiungere un testo equilibrato a tutela dell’l’ambiente tenendo conto delle esigenze manifatturiere. L’Italia si è invece espressa favorevolmente alla stretta sulle fughe di metano provenienti dai settori energetici: dal
petrolio al gas, passando per il carbone e il biometano.
I Paesi hanno confermato l’intesa politica raggiunta a novembre con l’Eurocamera per costringere le compagnie energetiche a rilevare e riparare regolarmente le perdite di metano derivate dalle loro attività, comprese le importazioni. Una stretta con cui Bruxelles punta ad accelerare la lotta al cambiamento climatico, dal momento che il metano è un potente gas serra con una maggiore capacità di intrappolare calore rispetto alla CO2, e dunque un impatto sul surriscaldamento di oltre 80 volte superiore a quello dell’anidride carbonica su un periodo di 20 anni.