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Cutro un anno dopo, il dolore dei superstiti: “Vogliamo fare causa allo Stato”

Il 26 febbraio 2023 il naufragio costato la vita a 94 migranti: i famigliari tornano nella spiaggia dell’orrore tra lacrime e rabbia.

Crotone – “Sono riuscito a salvarmi solo grazie a un pezzo di legno a cui mi sono aggrappato con tutte le mie forze. Fino a quando sono riuscito a toccare la terraferma”. A parlare, con la voce rotta dall’emozione, è Samir, un ragazzo di 18 anni dell’Afghanistan, che si trovava sulla barca ‘Summer Love’ naufragata un anno fa a Steccato di Cutro. Samir, che oggi vive a Amburgo, è uno dei superstiti del naufragio e lui, come gli altri, sulla spiaggia ricorda le emozioni di quel giorno. “I soccorsi sono arrivati tardi – racconta – avevamo visto una luce e e pensavamo fossero i soccorsi invece era un peschereccio. Però, poi, all’arrivo in spiaggia non c’era nessuno”.

Un anno dopo la tragedia avvenuta il 26 febbraio 2023 costata la vita a 94 migranti, di cui 35 minori, i superstiti e famigliari delle vittime si sono ritrovati all’alba sulla spiaggia dell’orrore per ricordare quello che accadde. Un anno dopo Samir e gli altri sono decisi a fare luce sulle responsabilità, vogliono fare causa allo Stato.

Il team di legali è già pronto. Tra loro anche l’avvocato Marco Bona, socio fondatore dello studio Bona Oliva, giunto anche lui a Crotone nel giorno dell’anniversario annunciando di avere già fatto delle “indagini difensive” con la raccolta “di testimonianze di sopravvissuti”. La causa, ha spiegato il legale, si affiancherà al procedimento penale, che riguarda le responsabilità individuali e che è in corso dall’indomani dei fatti, “ma in una tragedia di questo tipo è anche molto importante accertare le responsabilità istituzionali e organizzative, al livello ministeriale e di governo e anche al livello dell’agenzia europea Frontex”.

La spiaggia della tragedia

Sul luogo del dolore c’è anche Vincenzo Luciano, uno dei pescatori che intervenne perprimo dopo il naufragio del caicco Summer Love. “Ho dei ricordi brutti, – dice – ancora non riesco a dimenticare. Ho visto cadaveri di bambini. Tutto ricordo, una tragedia vera che poteva essere evitata. Se loro sono sbarcati alle quattro e sono stati due ore in mare da soli qualcuno potevamo salvarlo”. Vincenzo è visibilmente emozionato e confessa: “Io per primo mi do la colpa perché di solito andavo sempre prima al mare. Quella mattina non sono partito verso le 4 come al solito, ma sono arrivato alle sei. E mi do la colpa perché non sono riuscito a salvare nessuno. Appena sono arrivato ho tirato fuori dall’acqua 4 o 5 bambini ma dopo, nell’arco della giornata, ne ho recuperati una quindicina. Vorrei tanto poter dimenticare, ma ancora non ci riesco”.

Un anno dopo la politica continua il rimpallo delle responsabilità, da sinistra a destra e viceversa. Mentre i superstiti e i famigliari tengono in mano lo striscione “26 febbraio, mai più stragi di migranti nel Mediterraneo”, che, sotto la pioggia battente, ha aperto la manifestazione nel centro di Crotone “per non dimenticare”. Non ha dimenticato quelle ore terribili neppure Zahra Barati, che ha perso suo fratello Sajad, un ragazzo afgano di 23anni.

La donna guarda con gli occhi tristi la fila di 94 alberi piantati in ricordo delle vittime della strage di Cutro. Nonostante la pioggia battente che la bagna, resta immobile. Uno degli alberi, un corbezzolo, è dedicato proprio a Sajad: “Il suo sogno era quello di raggiungermi in Finlandia, per potere studiare e lavorare. E magari costruirsi una famiglia lì. Mi ha chiamata quando è arrivato in Turchia per dirmi il giorno e l’ora della sua partenza”, racconta, poi il giorno prima della strage una persona, una sorta di intermediario tra le famiglie dei migranti in partenza e gli scafisti l’ha avvisata che il fratello sarebbe partito da lì a poco.

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Un’altra immagine della spiaggia di Steccato di Cutro in Calabria/ ANSA

Ma poche ore dopo, il cognato di Zahra, che fa il giornalista in Afghanistan, ha saputo di una imbarcazione naufragata nei pressi delle coste italiane. Solo dopo due giorni ha saputo che Sajad era morto. Così è partita dalla Finlandia, è arrivata a Crotone dove ha riconosciuto, al Palamilone, la salma del ragazzo.

“Vogliamo denunciare lo Stato italiano”, interviene poi Nigeena Mamozai, 24 anni, che insieme alla cognata Adiba Ander, 20 anni, è sopravvissuta alla tragedia. Le due donne sono tornate a Crotone dalla Germania per partecipare alle giornate organizzate dalla Rete 26 febbraio per l’anniversario della strage di migranti. Parlano per la prima volta del naufragio. Nigeena, raccontando quanto accaduto, parla della presenza di un elicottero probabilmente prima dell’aereo di Frontex. “Dobbiamo dire – spiega – che il naufragio poteva essere evitato. Il governo italiano sapeva della presenza della nostra barca”.

E prosegue: “Abbiamo visto un elicottero circa sette ore prima del naufragio. Lo hanno visto anche altri sopravvissuti. Era un elicottero, era di notte. Non era un aereo. Abbiamo sentito anche il rumore. L’accoglienza che avete fatto a Crotone è stata favolosa, ma noi vogliamo dal governo italiano giustizia e verità ed il ricongiungimento familiare”. La posizione dei sopravvissuti è univoca. “Ai governi italiano, tedesco ed europeo – ribadisce Whalidi, afgano – chiediamo di fare in modo di aprire dei corridoi umanitari per far arrivare qui le nostre famiglie che sono in Afghanistan. Solo così qualcosa potrà cambiare in meglio nella nostra vita”.

C’è Wahid che nel naufragio – anche lui era su quella barca – ha perso quasi tutta la sua famiglia. La moglie Monika e tre figli, di 12, 8 e 5 anni. Il corpo del più piccolo non è mai stato restituito dal mare. L’unico sopravvissuto è Maidan, che oggi ha 14 anni. Padre e figlio vivono ad Amburgo, in un campo per i profughi. In attesa di una sistemazione. “Se mi fermo a pensare è la fine’‘, dice. ”Non voglio pensare a quello che mi è successo, altrimenti non riesco ad andare avanti”.

Nella tragedia, tra i volti ancora attoniti dei superstiti che ricordano i morti, un raggio di luce illumina la giornata di pioggia sulla spiaggia dell’orrore. È il volto di Nicolina Parisi, 82 anni, che per aver offerto la propria disponibilità ad accogliere nella tomba di famiglia le salme dei migranti deceduti nel naufragio. Da oggi è Commendatore, su decisione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Sono emozionata, non so proprio perché il presidente mi abbia voluto premiare in questo modo – dice – è qualcosa di speciale e accetto questo premio con dignità perché viene da una persona che sa percepire, quelle emozioni, quell’umanità nei confronti di chi non ha più nulla e fugge dal proprio Paese. Abbiamo bisogno di queste importanti testimonianze”.

Nicolina Parisi nominata commendatore da Mattarella

“Il mio gesto – spiega la signora Nicoletta – quello di donare spazio nella mia tomba di famiglia ai rifugiati deceduti nel naufragio, lo avevo fatto in silenzio, spontaneamente pensando che quei naufraghi avessero diritto ad una degna sepoltura. Ma si è trasformato in un grido che spero possa svegliare le coscienze di tutti perché tragedie del genere non avvengano più. L’umanità si è addormentata nel suo egoismo, nella sua prepotenza”. Nel cimitero di Crotone c’è anche il piccolo Alì, seppellito in una tomba bianca con il nome che i cittadini gli hanno voluto dare all’indomani della tragedia. A un anno di distanza dalla strage è stato identificato. Ora si conosce il suo vero nome: Mohammad Sina Hoseyni. La sua mamma, morta anche lei nel naufragio della Summer Love, è stata seppellita in Germania dove si trovano alcuni parenti.

Ieri è stato inaugurato il Giardino di Alì, con il nome che i crotonesi hanno voluto dargli perché non fosse
indicato con un codice.
Un giardino sul lungomare di 94 alberi, uno per ciascuna vittima del naufragio. Per Alì e tutti i morti di Cutro la street artist Laika ha realizzato la sua nuova opera nelle stesse acque in cui sono affiorati i corpi di 94 persone, 35 dei quali minori, senza contare un numero imprecisato di dispersi. Si tratta di un’installazione galleggiante di 4 metri per 2, che ritrae un giovane migrante che lotta in mare per la sua vita: al centro dell’opera appare la scritta “Never again”.

La voglia di giustizia di chi resta è tanta. Ma quello che è certo è che le indagini sono estremamente delicate: sulla dinamica del naufragio, sul ruolo della Guardia Costiera e delle navi della Guardia di Finanza, per capire chi abbia sbagliato a non impedire che il mare in tempesta si inghiottisse la barca. Ma anche sul perché la carretta del mare non si sia fermata in Grecia o in Puglia, ma proprio a Cutro.

La politica nel frattempo continua nelle sue processioni sui luoghi della tragedia e i suoi veleni. Intanto, secondo i legali dei superstiti, i “tre soggetti” che verranno “citati” nella causa risarcitoria che verrà intentata contro lo Stato per “responsabilità” istituzionale e organizzativa nella tragedia di Cutro saranno “la presidenza del Consiglio, il ministero delle Infrastrutture e il ministero dell’Economia”, ha spiegato l’avvocato Stefano Bertone, dello studio Ambrosio e Commodo che insieme allo studio Bona Oliva, rappresenta oltre 50 tra sopravvissuti e familiari delle vittime della strage avvenuta un anno fa.

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