Nel settembre del 1992 una giovane volontaria di Cesena svanisce nel nulla. Da allora c’è una madre che non ha mai smesso di cercare sua figlia. Un caso intricato tra silenzi, depistaggi, ambienti religiosi e una verità che continua a sfuggire.
Cesena – Di fronte alla sparizione di una giovane donna la memoria non può arrendersi. La storia di Cristina Golinucci è uno di quei casi che sfidano il tempo e la verità, una vicenda intricata, fatta di omissioni, depistaggi, testimonianze ignorate e – soprattutto – di una madre che non si è mai fermata nella ricerca della figlia. A oltre trent’anni dalla sua scomparsa, il nome di Cristina rimane inciso nel cuore dell’Italia che chiede giustizia per gli invisibili della cronaca.
1 settembre 1992: l’inizio dell’enigma
Cristina Golinucci è una ragazza di 21 anni, originaria di Cesena, solare, devota, impegnata nel volontariato e con la voglia di costruirsi un futuro. Quel giorno, il primo settembre 1992, ha un appuntamento con il suo padre spirituale, fra’ Lino Ruscelli, presso il convento dei frati cappuccini della sua città. Un incontro semplice, ordinario, in un luogo familiare. Ma Cristina non tornerà mai più a casa.

La sua Fiat 500, acquistata dalla famiglia per supportare la sua indipendenza, viene ritrovata nel parcheggio antistante il convento. Sul cruscotto, una copia del contratto di lavoro che avrebbe dovuto firmare il giorno seguente. Una prova tangibile, come sottolinea l’avvocata Barbara Iannuccelli dell’associazione Penelope, che Cristina stesse progettando la sua vita. Un allontanamento volontario, come ipotizzato inizialmente dalle forze dell’ordine, è da escludere.
Eppure, la denuncia di scomparsa non viene accolta immediatamente. Le autorità, in un riflesso purtroppo troppo comune in quegli anni, parlano di un possibile colpo di testa. La famiglia, invece, sa che qualcosa non quadra. Intanto, iniziano a circolare voci infamanti: Cristina sarebbe fuggita con un frate, si sarebbe rifugiata in un convento o addirittura sarebbe andata a “fare la bella vita” in un casinò. Nessuna di queste piste trova mai un riscontro.
Una madre che non si arrende
Marisa Degli Angeli, la madre di Cristina, diventa il simbolo della determinazione e della ricerca affannosa e affannata di una verità che sembra sfuggire come sabbia tra le dita. Per la sua instancabile battaglia, nel 2024 l’ANSA la nomina “personaggio dell’anno”. La sua storia si intreccia con quella di altre famiglie segnate da sparizioni misteriose, come quella di Elisa Claps, e la sua voce diventa una delle più forti all’interno dell’associazione Penelope, fondata da Gildo Claps nel 2002.

Marisa non ha mai smesso di chiedere che si cercasse Cristina anche dove molti non volevano guardare: nel convento. Sotto la struttura si snodano grotte, cisterne, cunicoli e una misteriosa porta murata comparsa dopo il 1992. Ispezioni con georadar sono avvenute nel 2010 e nell’estate 2024, senza risultati risolutivi. Ma anche in queste ricerche non sono mancate le ombre: in un’occasione furono ritrovate ossa, subito escluse come appartenenti a Cristina senza alcuna analisi scientifica, nemmeno del DNA.
Emanuel Boke: il sospetto dimenticato
Tra gli aspetti più inquietanti del caso, spicca il nome di Emanuel Boke, richiedente asilo ospitato nel convento nel periodo della scomparsa di Cristina, un fatto che la famiglia scoprì solo due anni dopo. Boke è stato condannato per violenza sessuale in Italia e in Francia. Le sue vittime raccontano dinamiche da predatore: violenze con minacce di morte, strangolamenti con cinture, brutalità inarrestabile.

Nel 1994, in carcere, Boke avrebbe confessato a fra’ Lino: “Sì, sono stato io, sono stato una bestia, un assassino”. Due giorni dopo ritratterà. Il frate riporterà l’episodio ai carabinieri ma la sua testimonianza viene ritenuta inutilizzabile perché protetta dal segreto confessionale. Tuttavia, in un’intercettazione analizzata in una perizia recente, emerge che la trascrizione originale di un secondo colloquio tra i due potrebbe essere stata manipolata: dove si leggeva “non mi sembri convinto”, l’audio originale rivelerebbe “non eri mica in convento”, fatto che potrebbe demolire l’alibi di Boke.
Nel frattempo, l’uomo è scomparso. Nel 2017 risulta in carcere a Marsiglia ma registrato con altre generalità.
Il “Mostro di Cesena”? Altri casi e legami oscuri
Nel 1992, appena un mese dopo la scomparsa di Cristina, un’altra ragazza sparisce. Sì tratta di Chiara Bolognesi, anche lei volontaria, coetanea di Cristina, anche lei frequentava la stessa chiesa. Il suo corpo viene ritrovato nel fiume Savio. Il caso viene archiviato come suicidio, ma senza una vera analisi autoptica approfondita. Le sue stesse psicologhe esclusero l’ipotesi di un gesto volontario.

Una telefonata anonima a un sacerdote – don Ettore – indicava che Chiara era nel Savio, Cristina nel Tevere, “vicino a una chiesa dove ci sono due frati di Cesena”. Troppe coincidenze. Troppi silenzi.
Un’inchiesta che sfida il tempo e le istituzioni
Nel caso di Cristina Golinucci a lungo si è tentato di “proteggere” l’istituzione religiosa, evitando indagini troppo invadenti. Ma per chi vive nella terra degli scomparsi, non si può escludere nessuna pista. “È facile parlare per chi non è nel dolore”, ha risposto Marisa Degli Angeli a fra’ Lino, che si diceva ferito dalle insinuazioni. Ma Cristina è scomparsa proprio lì, in quel luogo sacro. E nessuno l’ha mai più vista.
Chi ha fatto del male a Cristina Golinucci? Dov’è finita? Chi ha coperto, insabbiato, manipolato? Dopo oltre tre decenni, le risposte non sono ancora arrivate. Ma una certezza resiste: la verità non può essere sepolta per sempre. E Marisa Degli Angeli non smetterà mai di cercare sua figlia.