Il Covid-19 ha colpito duramente le fasce più deboli della società. Disuguaglianze economiche e sociali hanno inciso su mortalità e accesso alle cure.
Anche il Covid si è accanito contro i poveri cristi! Non è che ci volesse il documento dell’Istat “Audizione dell’Istituto Nazionale di Statistica”, presentato il 28 gennaio scorso alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dell’emergenza sanitaria causata dalla diffusione epidemica del Covid-19 e sulle misure adottate per prevenire e affrontare l’emergenza epidemiologica, per stabilire che il perfido e infame virus si è accanito contro i più sfigati, chi è già colpito dalla sorte e conduce una vita gramma.
Tra queste persone il tasso di mortalità è stato più alto e chi è sopravvissuto all’onda letale ha incontrato una serie di ostacoli, liste d’attesa lunghe quanto un’autostrada e difficoltà economiche. Oltre alla pandemia, a causare problemi un ruolo decisivo l’hanno recitato la struttura socio-economica, la realtà geografica e il livello d’accesso ai servizi sanitari. Nel determinare la crescita della mortalità tra le classi meno abbiette il livello d’istruzione è stato un fattore significativo.

All’inizio della “peste”, il 2020, le persone con un titolo di scuola media inferiore hanno registrato un tasso di mortalità del 23,6 per 10.000 abitanti tra gli uomini e dell’11,5 tra le donne. I laureati, al contrario, hanno raggiunto il tasso, rispettivamente, del 16,6% e del 6,9. Questi dati sono aumentati nel 2021 a conferma che “il cane morde lo straccione”, come recita un motto partenopeo. A significare che più si ha un basso livello socio-economico, più la sorte si accanisce. Le disparità oltre che di status sono state anche geografiche.
Nella prima fase del Covid, è stata l’Italia Settentrionale a subire le maggiori criticità col numero di decessi superiori al Mezzogiorno. L’anno successivo, però, è tutto tornato nella consuetudine: il Mezzogiorno ha registrato un lieve aumento rispetto al Nord, confermando le negatività che emergono in altre ricerche socio-economiche. La crescita potrebbe essere derivata da una concausa di elementi, ma soprattutto, con molta probabilità, dal divario esistente nell’accesso alle cure. Una criticità già esistente, esacerbata con la pandemia. Infatti, tra il 2019 e il 2023 il numero di cittadini che non hanno beneficiato di prestazioni sanitarie necessarie è cresciuto dal 6,3% al 7,6%.

Ormai i motivi che hanno determinato la situazione attuale si conoscono a menadito: le estenuanti e lunghe liste d’attesa, il sistema sanitario sempre più in affanno a causa della carenza di personale, i ridotti finanziamenti. A pagare il prezzo più alto gli anziani che oltre ad essere poveri si sono visti costretti a rinunciare alle cure. Neppure la differenza di genere è stata risparmiata. Infatti, le donne che hanno dovuto rifiutare di poter usufruire dei servizi sanitari sono state in maggioranza rispetto ai maschi, perché più impegnate nella gestione della casa e dei figli e della cura dei genitori anziani.
Comunque se “i soldi non fanno la felicità”, figurarsi la miseria! Le disparità sociali espresse, soprattutto, nelle differenze reddituali, incidono anche sui decessi per altre malattie. Le malattie croniche relative alle vie respiratorie, i tumori, il diabete sono cresciuti proprio nelle classi più povere e meno istruite. Questo perché chi ha meno possibilità socioeconomiche, conduce uno stile di vita più insalubre, fa meno protezione sanitaria e le diagnosi, spesso, vengono effettuate in ritardo. L’uragano pandemico, oltre ai danni prodotti, ha fatto calare l’aspettativa di vita, almeno fino al 2022. Come si è visto, qualunque fenomeno sociale o ad esso correlato e di qualsiasi tipo si manifesti, si recita sempre lo stesso copione, da quando l’uomo è apparso sulla terra. Chi ha i soldi comanda, chi non ce li ha si affida al Padreterno. Ma anche quest’ultimo pare essersene dimenticato!