Il legale della giovane rapita dal padre e tornata in Italia sul barcone va avanti sulla ricusazione del giudice Cupri contro l’espulsione.
Catania – Nuovo round legale sul caso di Sarah Ben Daoud, la giovane catanese nata in città da genitori tunisini che, dopo essere stata rapita dal padre e portata nella nazione del Nord Africa, era rientrata in Italia il 25 agosto dell’anno scorso sbarcando da un barcone a Pantelleria. Una volta approdata e dopo aver rischiato la vita in mare, per la 21enne era arrivata la doccia fredda: si era vista recapitare un decreto di espulsione dalla Questura di Trapani. Da allora Giuseppe Lipera, avvocato della giovane, ha intrapreso una battaglia giudiziaria per ottenere giustizia. L’ultimo capitolo della vicenda è la presentazione del ricorso in Cassazione contro il decreto emesso il 17 giugno del 2024 con cui era stata rigettata l’istanza di ricusazione del giudice Rosario Maria Annibale Cupri.
Quest’ultimo infatti, su richiesta dell’Avvocatura dello Stato, aveva anticipato l’udienza, non pronunciandosi invece sulla richiesta formulata dal legale riguardo la cancellazione delle frasi ingiuriose nei propri confronti contenute nella memoria depositata dalla stessa Avvocatura dove si legge: “è bene, però, subito fugare ogni dubbio in relazione alle farneticanti elucubrazioni – dal valore più politico che giuridico – sulla cittadinanza della ragazza”. Tra le pieghe della vicenda c’è infatti, la querelle giudiziaria tra l’avvocato Lipera, difensore di Sarah e l’Avvocatura dello Stato, nello specifico il collega Angelo Francesco Nicotra, che nella memoria depositata aveva bollato la tesi difensiva come frutto di “farneticanti elucubrazioni – dal valore più politico che giuridico – sulla cittadinanza della ragazza”.
Parole che avevano indotto Lipera a chiederne prima la cancellazione e in seconda istanza a querelare il collega dell’Avvocatura per diffamazione. Della querela la Procura etnea aveva chiesto l’archiviazione, ma il legale della difesa non intende fare sconti e si era opposto. Ora il ricorso di fronte alla sezione civile della Suprema Corte, dove si ripercorre tutta la vicenda e si chiede di annullare l’ordinanza del 17 giugno.
Nel ricorso si ricorda che anche il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania aveva stigmatizzato l’accaduto, ribadendo che “l’irrinunciabile tutela della dignità della professione forense impone di sottolineare, in via generale, la necessità dell’osservanza del principio di continenza nella redazione degli atti difensivi”. E aveva deciso di aprire un fascicolo a tutela di Lipera. Infine, il direttivo della Camera penale etnea Serafino Famà ha espresso solidarietà al legale di Sarah: “parole intollerabili” quelle contro Lipera.
Anche Sarah attende, ed è in un limbo personale e giuridico che così ha descritto il suo legale: “La fattispecie concreta in cui si trova non è disciplinata da alcuna norma, perciò va risolta col buon senso. Questa ragazza è nata a Catania, in questa città ha lasciato la mamma e tre fratelli solo perché rapita dal padre. La madre l’ha aspettata per anni, tentando invano, purtroppo, tutte le strade per farla tornare già da minorenne. Ha tentato innumerevoli volte di ricongiungersi alla amata madre – ha concluso Lipera – ma le macchinazioni burocratiche del nostro ordinamento gliel’hanno sempre impedito”.