Condannata per mafia Laura Bonafede, la maestra legata a Messina Denaro

Secondo i magistrati la 57enne di Campobello di Mazara sarebbe stata uno dei “perni intorno al quale ha ruotato la latitanza del boss”, nonché depositaria di molti dei suoi segreti.

Palermo – Secondo gli inquirenti sarebbe stata “uno dei perni intorno ai quali ha ruotato l’intera fase della clandestinità di Matteo Messina Denaro fin dagli anni Novanta”, arrivando persino a formare con lui “una sorta di famiglia”. Ruolo di primo piano che oggi Laura Bonafede, la maestra 57enne di Campobello di Mazara, legata sentimentalmente all’ex primula rossa di Cosa nostra, ha pagato con una condanna a 11 anni e 4 mesi per associazione mafiosa, giunta al termine di un processo con rito abbreviato. La Procura aveva richiesto una pena di 15 anni, in gran parte accolta dal giudice, anche se la condanna inflitta è risultata lievemente inferiore.

Bonafede dovrà inoltre risarcire i Comuni di Castelvetrano e Campobello di Mazara con 25 mila euro ciascuno, il Ministero dell’Istruzione e la Regione Sicilia con 10 mila euro ciascuno e alcune associazioni antimafia, tra cui il Centro Pio La Torre, l’Associazione Caponnetto, l’associazione antiracket di Trapani e Codici, con 3 mila euro per ciascuna.

Figlia di Leonardo Bonafede, noto esponente mafioso, sposata con Salvatore Gentile, anch’egli affiliato alla malavita, e cugina di Andrea Bonafede – l’uomo che ha fornito l’identità fittizia al boss per permettergli di ricevere cure mediche – avrebbe scambiato numerose lettere con Messina Denaro, in cui il boss le diceva di essere “l’unica cosa buona” della sua vita. A sua volta, la donna firmava le lettere con diversi nomi in codice, come “Venesia”, “cugino”, “amico” e “Blu”, e scriveva al boss dichiarando la propria gratitudine per poter far parte della sua vita.

Arrestata il 13 aprile dello scorso anno, poco tempo dopo la cattura di Messina Denaro, la maestra è stata indicata dagli investigatori come depositaria di molti segreti e, per anni, ha mantenuto contatti regolari con il boss, nonostante i rischi legati al fatto di trovarsi vicino a uno dei latitanti più ricercati al mondo. Numerosi incontri sarebbero avvenuti in un supermercato a Campobello di Mazara, dove i due erano stati ripresi dalle telecamere di sicurezza. Parlando in terza persona, la Bonafede si riferiva a sé stessa come “Venesia” e affermava di sentirsi pervasa da un’intensa emozione durante questi appuntamenti.

Durante il processo, Bonafede ha sempre mantenuto il silenzio di fronte agli inquirenti ma ha infine deciso di rilasciare dichiarazioni spontanee, negando di appartenere all’organizzazione mafiosa e sostenendo di essere stata solo una conoscente di lunga data del boss, che aveva incontrato per la prima volta da bambina. La Procura, tuttavia, ha rigettato questa versione, evidenziando che le lettere tra la donna e Messina Denaro contenevano ripetuti riferimenti a figure e situazioni legate alla mafia. La figlia di Bonafede, Martina Gentile, è inoltre sotto processo per favoreggiamento aggravato, accusata di aver avuto un ruolo nel supportare la latitanza del boss.

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