Operazione di carabinieri, Dia e polizia penitenziaria coordinata dalla Dda. Tra le accuse traffico di droga e frodi su fondi Covid e bonus edilizio.
Monza – Ruota attorno alla figura del medico calabrese Giovanni Morabito, collaboratore di alcune case di riposo milanesi nonché figlio di Giuseppe “Tiradrittu” Morabito, storico boss calabrese al 41 bis, l’operazione che ha visto la Direzione investigativa Antimafia e i carabinieri del comando provinciale di Monza, con il supporto del Nucleo Investigativo della polizia penitenziaria, arrestare 18 persone legate alla cosca Morabito-Palamara-Bruzzaniti, indagati a vario titolo per associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, all’estorsione e al compimento di numerosi reati economico per agevolare l’attività del clan. 68 il totale delle persone indagate.
Secondo gli inquirenti, impegnati nell’indagine ormai da quattro anni, a tirare le fila di due distinte organizzazioni criminali “separate per materia” (da un lato i reati economico – finanziari, dall’altro, il traffico di droga e le estorsioni), era appunto il dottor Morabito, per altro già condannato in via definitiva per traffico di sostanze stupefacenti.
Sul versante economico il gruppo poteva contare sulla complicità di professionisti ed imprenditori, titolari nel centro di Milano di diverse società di consulenza e portatori del necessario “Know how” tecnico- giuridico per far funzionare, per esempio, un sistema di società “cartiere”, di fatto non operative, utili soltanto a emettere fatture false su operazioni inesistenti per creare, a favore di terzi clienti, la disponibilità “in nero” di ingenti somme di denaro contante. Questi ultimi, infatti, a fronte del bonifico effettuato a pagamento della falsa fattura, ottenevano, al termine di diversi “passaggi” su conti correnti “on line” su banche europee ed extracomunitarie, ingenti somme di denaro, così sottratte a ogni forma di controllo e monitoraggio da parte delle autorità.
Nel corso delle attività investigative sono state sequestrati 50mila euro in contanti nonché ricostruire altre consegne di denaro gestite dall’organizzazione. Lo stesso gruppo si occupava di produrre e mettere in commercio false polizze fideiussorie, formalmente emesse da uno dei più grossi gruppi bancari nazionali, a favore di imprese e ditte individuali che mai le avrebbero legalmente ottenute, in quanto prive della necessaria solidità patrimoniale e/o dei necessari requisiti di onorabilità.
In particolare, tali “false” polizze servivano al consapevole acquirente per garantire, nei confronti di inconsapevoli “terzi”, il rispetto di obblighi derivanti da reciproci rapporti contrattuali. In un caso, le false fideiussioni sono state create a favore di imprese operanti nel settore dei giochi e delle scommesse (che mai avrebbero potuto ottenerle legalmente, in quanto colpite da interdittiva antimafia emessa al termine di indagini riguardanti anche il reato di associazione mafiosa), allo scopo di garantire l’adempimento degli obblighi economici conseguenti al contratto stipulato con il concessionario dello Stato.
Tra i reati commessi anche la commercializzazione di falsi crediti d’imposta “Ricerca & Sviluppo” ceduti a terze società che, consapevoli della loro natura fittizia, li hanno utilizzati per compensare il pagamento di imposte e di contributi previdenziali. Tali crediti erano creati da un’altra organizzazione criminale con sede nella provincia di Napoli e composta da professionisti (commercialisti, periti ed ingegneri), alcuni dei quali già condannati per analogo reato. Non meno grave l’organizzazione di truffe aggravate ai danni dello Stato per finanziamenti e ristori previsti dalle norme Covid 19.
Le indagini hanno, da un lato, accertato l’effettiva percezione di tali somme, dall’altro evitato l’indebita erogazione di somme e di benefici economici (nella forma del finanziamento garantito e del credito d’imposta) per circa 2 milioni di euro, per i quali era già stata depositata la prevista documentazione, ovviamente opportunamente falsificata. In uno di questi casi, proprio per sfruttare una specifica norma diretta a favorire la capitalizzazione delle società nel periodo della pandemia, erano stati creati, attraverso bilanci contraffatti, fittizi aumenti di capitale sociale, impiegando, anche grazie alla compiacenza di periti e pubblici ufficiali, titoli esteri di dubbio ed incerto valore ed aventi caratteristiche tecniche difformi da quelle previste dalla legge.
L’organizzazione avrebbe reinvestito il proventi nella creazione, insieme ad altre persone indiziate di appartenere alla ‘ndrangheta, di nuove società commerciali che avrebbero operato in settori quali quello edile – sfruttando i benefici dell’Ecobonus -, della raccolta e del riciclaggio dei rifiuti, del commercio di carburante e della grande distribuzione.
Il secondo dei due gruppi criminali smantellati dagli inquirenti si occupava di reati più tradizionalmente appannaggio della criminalità organizzata, come importazione, acquisto, trasporto e cessione sul mercato del Nord Italia (Milano, Torino e altre province) ed in Calabria, di centinaia di chili di sostanze stupefacenti (cocaina, eroina, marijuana e hashish) oltre a gestire un’attività di recupero crediti mediante le tipiche modalità utilizzate dalle organizzazioni mafiose anche ricorrendo, quando necessario, all’uso di armi. Disponevano, infatti, di basi logistiche e operative dove i “soldati” potevano incontrarsi e custodire lo stupefacente, in particolare un magazzino a Paderno Dugnano; e ancora telefoni cellulari, intestati a terze persone, cambiati con frequenza e utilizzati per le comunicazioni all’interno del gruppo; c’erano poi autovetture impiegate per il trasporto dello stupefacente, spesso appositamente noleggiate o messe a disposizione da uno degli indagati.
L’indagine ha consentito di ricostruire anche i canali di approvvigionamento esteri e, in occasione di una delle cessioni intercettate, è stato possibile arrestare in flagranza il corriere e sottoporre a sequestro 5 kilogrammi di eroina, inizialmente destinata al mercato calabrese. Sono state documentate innumerevoli compravendite di stupefacente, per un totale di 50 kg di eroina, 150 kg marijuana e circa 50 kg di hashish, provenienti anche dalla Spagna, dall’Austria e dall’Albania ed è stata verificata l’apertura di un canale di vendita di cocaina proveniente dal Perù e dal Brasile e destinata ai membri di una nota famiglia di ‘ndrangheta.