Chiara Colosimo: “Sul 41 bis non molliamo, recidere i legami delle famiglie criminali”

La presidente della commissione Antimafia reduce dalla visita nelle celle del carcere duro dell’Aquila dove sono passati vari boss.

Roma – “Abbiamo potuto verificare tutte le criticità emerse nella gestione dei detenuti al 41 bis, dove
nonostante un’importante inversione di tendenza esiste una carenza di personale, criticità strutturali degli edifici e criticità indotte dalla disomogeneità nelle interpretazioni giurisprudenziali, gestione dei colloqui e vulnerabilità della corrispondenza che mettono a dura prova questo regime che, ricordo, è nato per evitare qualsiasi tipo di comunicazione esterna e interna del detenuto. Questo, quando non avviene, mette a repentaglio tutto il lavoro ‘investigativo’ che ha portato a svelare crimini gravissimi”. Lo dice in una intervista al Giornale la presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo, reduce dalla visita al carcere dell’Aquila.

Quella abruzzese è una struttura che ospita il più alto numero di detenuti al 41 bis in Italia e dove, fino alla sua morte, è stato recluso anche Matteo Messina Denaro. E’ l’unico penitenziario con una sezione femminile per il 41 bis. Qui è stata trasferita e sta tuttora Nadia Desdemona Lioce, l’irriducibile delle nuove Br condannata all’ergastolo per gli omicidi D’Antona e Biagi. Nel super carcere de L’Aquila sono stati ospitati detenuti eccellenti come il boss mafioso Leoluca Bagarella – che sconta l’ergastolo per strage -, Raffaele Cutolo della Nuova camorra organizzata, l’esponente dei casalesi Francesco Schiavone detto Sandokan, l’esponente della Mala del Brenta Felice Maniero. Qui fu detenuto anche Totò Riina. Il penitenziario è stato ultimato nel 1986 ed è entrato in funzione nel 1993: già dal 1996 fu adibito quasi interamente alla custodia di detenuti sottoposti a particolari regimi di alta sicurezza che alloggiano in celle singole.

Il carcere dell’Aquila

Da una capienza iniziale di 150 detenuti si è poi passati ad un massimo di 300, compresi i carcerati comuni. In questo periodo la Commissione antimafia sta visitando altri istituti penitenziari italiani per elaborare delle proposte di modifiche normative. “Ci sono fattori esterni che molto spesso vengono ignorati o sottovalutati, al punto da spingere vecchi boss a riprendere quei contatti mai del tutto recisi. È sul 41 bis – spiega Colosimo – che ci concentreremo per evitare che si ripetano situazioni simili a quelle viste a Palermo, dove il tempo e la distanza non hanno per niente scalfito il blasone criminale di alcuni uomini ‘di disonore’ tornati a delinquere dopo aver ottenuto dei permessi premio”, spiega.

L’11 febbraio scorso, commentando la maxi operazione che aveva portato a 183 tra arresti e misure cautelari tra Palermo e Provincia, la parlamentare di FdI aveva sottolineato come “particolarmente preoccupante resta il nodo delle carceri, dal momento che, come appare in tutta chiarezza da questa operazione, la necessità di recidere il legame tra i soggetti detenuti ed i sodali in libertà rimane sempre di primaria importanza”. La Commissione antimafia, infatti, “ha già acceso un faro su questo tema, – aveva proseguito la presidente Colosimo – lavorando sugli strumenti legislativi attuali anche in vista di eventuali modifiche, in termini di potenziamento, degli strumenti per attuare un taglio netto e radicale, assolutamente indispensabile, di quel cordone ombelicale tra detenuti e famiglie criminali di riferimento, e per evitare pericolose derive interpretative che possano condurre nuovamente a situazioni analoghe”.

Tornando indietro alle stragi del ’92-’93, “Siamo partiti dalla strage di Via D’Amelio perché abbiamo accolto l’appello dei figli del giudice Borsellino, Lucia, Fiammetta e Manfredi, che per troppo tempo sono rimasti inascoltati, in una vicenda che ha devastato insieme alla storia della nostra Nazione anche le loro vite. Ma mai, e dico mai, c’è stata nella voce dei figli la volontà di rassegnarsi a una sorta di narrazione che ha nascosto il ‘puzzo del compromesso’ e l’isolamento che hanno vissuto eroi come Paolo Borsellino e Giovanni Falcone”. E ancora la presidente della commissione Antimafia: “Ci sono carte e documentazioni secretate o finite nel dimenticatoio che provano strade inesplorate o ignorate che abbiamo il dovere di percorrere, dopo 33 anni dal più grande depistaggio della nostra storia – continua – Fa rabbrividire sentire che i nemici di Borsellino e Falcone erano sia all’interno che all’esterno del Palazzo di Giustizia. Via D’Amelio e Capaci sono storie di solitudine e isolamento”.

Sui dossieraggi e il caso Striano, spiega Colosimo, “La questione sollevata dal ministro Guido Crosetto non è uscita dall’agenda dell’Antimafia che meno di un mese fa ha sentito la Sogei; è una vicenda ancora aperta per la commissione, che lavora con le audizioni, ma soprattutto con la richiesta e l’approfondimento di molte carte. Abbiamo iniziato a scrivere, non permetteremo che tutto si esaurisca con una scadenza di termini. Ringrazio il Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo per aver denunciato e raccontato questo ‘verminaio‘”.

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