Anna Chiara pestata a sangue dal fidanzato della figlia: la sua famiglia in fuga, l’aggressore resta libero.
Napoli – Una storia di violenza domestica che ha costretto un’intera famiglia a lasciare la propria casa per sfuggire alle minacce. È quella di Anna Chiara Vitiello, residente nel quartiere Chiaiano di Napoli, brutalmente aggredita dal fidanzato appena maggiorenne della figlia. Il caso è stato denunciato pubblicamente dal deputato di Alleanza Verdi e Sinistra Francesco Emilio Borrelli, a cui si è rivolto il marito della vittima.
L’aggressione è avvenuta lo scorso 23 luglio e ha lasciato segni evidenti sul volto della donna, colpita con pugni e calci, che hanno reso necessario il ricovero ospedaliero. Nonostante la denuncia presentata e l’attivazione della procedura del Codice Rosso, la vicinanza geografica tra l’abitazione della famiglia e quella dell’aggressore ha reso necessario un trasferimento forzato. La famiglia Vitiello ha dovuto affittare un appartamento in un’altra zona della città per garantire la propria sicurezza.

“È assurdo che noi che siamo le vittime dobbiamo scappare e nasconderci”, ha commentato amaramente Anna Chiara Vitiello.
La violenza di cui è stata vittima la donna non è stata un episodio isolato. Nei giorni precedenti all’aggressione, Anna Chiara aveva notato segni preoccupanti sul volto e sul corpo della figlia, ancora minorenne, che ha un bambino di sette mesi con il fidanzato, un ragazzo di origine venezuelana. La giovane negava le violenze ma era evidente che quei segni fossero dovuti alle botte.
La sera del 23 luglio, intorno alle ore 20, la situazione è degenerata tragicamente. Anna Chiara ha sentito delle urla provenire dalla stanza dove si trovavano i due giovani ed è corsa a verificare cosa stesse accadendo. “Dopo pochi attimi lui mi è saltato addosso”, racconta la donna. “Mi ha colpito più volte al viso facendomi cadere a terra e poi ha continuato a prendermi pugni stringendomi anche le mani al collo. A un certo punto ero quasi svenuta.”
La violenza si è interrotta solo grazie al coraggioso intervento della figlia della vittima. “Penso di essere viva soltanto grazie a mia figlia che si è buttata su di lui nel tentativo di fermarlo”, ha dichiarato Anna Chiara, descrivendo quei minuti di terrore vissuti mentre il marito non era in casa.

Dopo l’aggressione, la donna è fuggita insieme alle due figlie e al nipotino, recandosi immediatamente all’ospedale San Paolo, dove ha trascorso la notte. La diagnosi del pronto soccorso ha confermato la gravità dell’episodio: trauma cranio-facciale con vistose ecchimosi ed escoriazioni su entrambe le braccia.
Il paradosso italiano: fugge chi non ha colpe
C’è qualcosa di profondamente sbagliato in un sistema che costringe una giovane madre a fare le valigie e a cercare casa in un altro quartiere mentre il suo aggressore continua a vivere tranquillamente nella sua abitazione. C’è qualcosa di grottescamente ingiusto nel dover spiegare a due ragazze perché devono lasciare la loro cameretta, i loro giochi, il loro mondo, per colpa di pugni che non hanno mai dato e violenze che non hanno mai commesso.

È il segno di una società che ha imparato a pronunciare le parole giuste – codice rosso, tutela delle vittime, tolleranza zero – ma che poi, nei fatti concreti, continua a punire chi subisce piuttosto che chi commette.
Il Codice Rosso è stato attivato, dicono. Le procedure sono state seguite, ci assicurano. Eppure questa famiglia si è ritrovata a dover affrontare non solo il trauma dell’aggressione ma anche il peso economico e psicologico di dover ricostruire una vita altrove. Sentirsi al sicuro sembra quasi un privilegio.
Mentre lei conta le ecchimosi e le escoriazioni sua figlia – ancora minorenne e con un bambino di sette mesi – elabora il dolore di aver visto la madre aggredita dal proprio compagno. Il presunto responsabile di tutto questo orrore dorme nel suo letto, cammina per le strade, vive la sua vita, come se nulla fosse accaduto. Il sistema, nella sua logica perversa, ha deciso che è più semplice spostare le vittime. È più comodo scaricare sulla famiglia-parte lesa il costo – umano ed economico – della propria protezione.
La parola giustizia sembra un paradosso. Meglio parlare di vittimizzazione secondaria, quella che aggiunge danno al danno, umiliazione all’umiliazione. Ogni volta che una donna è costretta a lasciare la propria casa per sfuggire alla violenza, mentre chi la minaccia resta libero di muoversi, inviamo un messaggio chiaro: in questa società i carnefici sono protetti più delle vittime.
Anna Chiara ha avuto la forza di denunciare, la fortuna di avere una figlia coraggiosa che le ha salvato la vita, la possibilità economica di affittare un’altra casa. Ma quante donne non hanno questi “privilegi“? Quante restano intrappolate perché non possono permettersi di scappare, perché non sanno dove andare, perché il sistema non offre loro alternative concrete?

La verità amara è che la nostra società ha imparato a indignarsi per la violenza sulle donne ma non ha ancora imparato a proteggerle davvero. Abbiamo le leggi, le procedure, sappiamo usare anche le parole giuste. Quello che ci manca è il coraggio di applicare fino in fondo il principio che dovrebbe essere ovvio: chi commette violenza deve pagarne le conseguenze.
Fino a quando saranno le Anna Chiara di questo mondo a dover fare i bagagli, ogni dichiarazione sulla tutela delle donne resterà vuota retorica. E ogni “Codice Rosso” attivato sarà solo l’ennesima presa in giro per chi, dopo aver rischiato la vita, scopre di aver perso anche il diritto di vivere in santa pace.