L’ex frate congolese sta scontando il carcere ma qualcun altro dovrebbe fargli compagnia. Il cadavere di Guerrina non è stato mai ritrovato ma il parroco di Ca’ Raffaello avrebbe fatto tutto da solo? Forse si, forse no…
ROMA – Ogni giorno una fila di parrocchiani incontra in carcere padre Gratien Alabi, l’ex vice parroco di Badia Tedalda, condannato a 25 anni di carcere per l’omicidio di Guerrina Piscaglia. Grazie al sostegno di decine di fedeli il frate congolese presenterà istanza alla Corte di Giustizia europea per vedersi riconosciuta l’innocenza dal grave fatto di sangue accaduto cinque anni fa.
L’uomo, condannato in via definitiva, sta scontando dal 20 febbraio scorso la pena inflittagli presso il carcere di Rebibbia dove incontra, regolarmente, i suoi parrocchiani più affezionati oltre ad amici e religiosi che credono, e hanno sempre creduto, all’estraneità di Alabi ai gravissimi fatti contestati che costeranno al presunto assassino (la presunzione d’innocenza vale sino a revisione di Cassazione) un quarto di secolo di galera. Alabi passa le sue giornate leggendo Bibbia e Vangelo ed ha stretto amici con alcuni detenuti ai quali dispensa consigli e preghiere dimostrandosi integrato nella difficile esistenza carceraria.
L’ex sacerdote appare sereno, dicono i suoi amici, e per nulla disposto a mollare: “…Ci siamo visti pochi giorni fa – aggiunge l’avvocato Riziero Angeletti, legale di fiducia – stiamo predisponendo il ricorso alla Corte di Giustizia europea che verrà depositato entro questo mese. Sta abbastanza bene e collabora molto in questo lavoro. Gratien continua a sostenere la propria innocenza, prega e studia. Smentiamo subito che è stato privato delle sue facoltà da religioso. Non c’è stata alcuna riduzione alla laicità, nessuno gli ha tolto la veste, come detto. Formalmente continua a essere sacerdote e se qualcuno glielo chiede lui può tranquillamente dire messa…”. In altri casi analoghi le autorità ecclesiastiche prima hanno sospeso e poi radiato dalle funzioni sacerdotali i preti incriminati e condannati in via definitiva. Con Alabi, invece, non è stato fatto. Ma questo non è l’unico fatto che ha dato fastidio ad altri e ben più numerosi fedeli della chiesa di Ca’ Raffaello.
C’è, infatti, un gruppo di cattolici di Lille, in Francia, che si chiedono se anche altri prelati, conterranei di Alabi e all’epoca dei fatti residenti a Badia Tedalda, non abbiano preso parte alla scomparsa e all’omicidio di Guerrina il cui corpo, lo ricordiamo, non è stato mai ritrovato. Il gruppo di religiosi francesi si riferisce, in particolare, a padre Sylvain Kalangafondo Gereduba, detto fra’ Silvano, il religioso che il giorno della scomparsa di Guerrina Piscaglia era a Ca’ Raffaello insieme a Gratien Alabi. Il prete, da mesi, officia proprio in una parrocchia della diocesi di Lille dove i cittadini intendono chiarire la posizione dell’uomo nei riguardi dei fatti accaduti in Italia. Ovviamente con una certa apprensione anche perché Guerrina conosceva perfettamente tutti gli altri frati congolesi per i quali cucinava pranzo e cena.
Il sacerdote, convocato dal Pm Marco Dioni all’epoca del processo di primo grado, era già stato trasferito in Francia: “…Graziano? Per me è innocente- disse padre Silvano davanti alla pubblica accusa – ma non so che fine abbia fatto lei… Se pensavo il contrario non sarei venuto… Non ho visto Guerrina quel giorno e in canonica non ho visto nessun cellulare oltre a quello di padre Graziano…”. Saranno proprio i 4.000 messaggi, scambiati fra Guerrina e don Alabi, a inguaiare il vice parroco a dimostrazione dello stretto rapporto dei due amanti la cui relazione si sarebbe deteriorata forse per le insistenze di Guerrina che per Graziano aveva perduto la testa. Il primo maggio del 2014, difatti, Guerrina Piscaglia, 50 anni, sposata con Mirko Alessandrini da cui aveva avuto un figlio disabile, scompare da casa mentre la donna, su una stradina secondaria, si dirigeva in canonica, forse per l’ultimo chiarimento col prete. Poi la farsa dell’inesistente Zi’ Francesco, un uomo inventato di sana pianta da Alabi per depistare le indagini, le bugie e le ripetute contraddizioni sulla versione dei fatti facevano di don Graziano l’unico indagato prima, l’unico imputato dopo e l’unico condannato in tre gradi di giudizio. Don Graziano però non avrebbe fatto tutto da solo.