Eleonora Cubeta non aveva motivi validi per togliersi la vita, né aveva dato segni di disagio o preoccupazione. Perché poi impiccarsi in quella maniera maldestra e complicata con due pistole in casa? Al processo si attende una svolta sulla scorta di nuovi particolari probatori.
MESSINA – Se avesse voluto togliersi la vita avrebbe utilizzato una delle sue due pistole invece di impiccarsi all’armadio. Questo ed altri particolari rendono ancora un rebus la morte di Eleonora Cubeta, 30 anni, la giovane guardia giurata ritrovata cadavere in casa propria il 5 settembre del 2015. Eleonora, soprannominata “La guerriera” per il suo carattere forte e generoso, era stata rinvenuta senza vita dal fratello Gaetano che, preoccupato dal suo silenzio telefonico, aveva deciso di recarsi in casa della sorella in zona policlinico a Contesse, frazione di Messina. Alle 19.15 del 5 settembre Eleonora, per l’ultima volta, aveva parlato al cellulare col fratello che l’aveva invitata a cena. La donna aveva rifiutato l’invito perché era stanca e, forse, un po’ pensierosa per via di quella sua relazione sentimentale che si era conclusa senza apparenti strascichi emotivi.
Gaetano sentendola un po’ strana, aveva richiamato la sorella ma stavolta la ragazza non aveva più risposto al telefono mettendo in ambasce il congiunto che decideva di fare un salto nella sua abitazione. Il fratello suonava il campanello ma non udendo risposta decideva di aprire la porta con una copia delle chiavi. Appena entrato nell’appartamento l’uomo rimaneva senza fiato: Eleonora, quasi nuda, era appesa ad un cappio fissato lateralmente ad un appendiabiti laterale fissato all’anta di un armadietto e con le gambe appoggiate sul pavimento. Strana posizione per una suicida. Gaetano Cubeta avvisava subito i carabinieri della Compagnia di Messina Sud che, a loro volta, telefonavano ai genitori della vittima che si trovavano in viaggio all’estero annunciando il macabro ritrovamento. Da allora tutta una serie di indagini che non avrebbero portato ad alcun risultato. L’ipotesi del suicidio, formulata dagli investigatori sulla scorta di indizi claudicanti, sembra aver perduto lo spessore inziale. Qualora ne abbia mai avuto:
”… Siamo stati informati della morte di nostra figlia dal maresciallo dei carabinieri della stazione di Gazzi – racconta Fiorella Moschella, 59 anni, mamma della vittima – mia figlia non aveva più risposto e noi che eravamo in viaggio non stavamo più nella pelle dalla tensione poi la terribile notizia. Eleonora non aveva alcun motivo per suicidarsi contrariamente a quello che credevano gli inquirenti. Mio marito, già ufficiale dell’Arma, si era raccomandato ai militari operanti di non trascurare nulla, nemmeno il minimo dettaglio per far chiara luce sulla vicenda. Eleonora aveva mille interessi, si occupava di volontariato e amava gli animali, ed era entusiasta della vita. Invece sarebbe morta per impiccagione atipica e asfissia meccanica. Stretta in un angolo tra due armadi dove, si suppone, qualcuno l’ha necessariamente spinta e incastrata. È stata trovata composta con la testa china da un lato, le mani poggiate sulle cosce, le gambe dritte in avanti e nessun segno di divincolamento spontaneo e istintivo come quello che avverrebbe in un normale corpo che sta per soffocare. Tutto molto strano, per noi qualcuno l’ha uccisa…”.
I genitori della giovane sono convinti che quella morte potrebbe essere l’esito infausto di una convivenza sbagliata con un uomo, Fabrizio Grasso, elettricista, che avrebbe in qualche modo ostacolato la vita di relazione della ragazza anche con i suoi genitori:
”…I carabinieri appena giunti sul posto – aggiunge la mamma – hanno chiesto la consegna immediata delle due pistole di mia figlia e non hanno ritenuto necessario chiedere l’intervento del magistrato di turno. Né hanno prudentemente ritenuto utile e necessario tutelare l’appartamento di Eleonora ponendolo sotto sequestro e impedendo pertanto a chiunque di entrare, al fine di non inquinare tracce, impronte e quant’altro. Non hanno ritenuto necessario rilevare i vari reperti che potevano essere messi al sicuro per eventuali indagini scientifiche come i pezzi della corda che avevano tenuto legata Eleonora, i suoi indumenti personali, le lenzuola macchiate del letto, le macchie di sangue sul pavimento della stanza da letto, sulla maniglia della finestra del bagno… Sono sicura che tutto ciò di cui siamo venuti a conoscenza dopo la sua morte attraverso le numerose deposizioni testimoniali in sede giudiziaria, alcune immagini fotografiche trovate sulla sua memory card che la ritraevano con vari ed estesi lividi sul viso, nonché alcuni suoi scritti nascosti e rinvenuti dentro un soprammobile di peluche posto sopra una mensola alta della cucina, Eleonora ce lo aveva taciuto proprio per non darci ulteriori dispiaceri sicura del fatto che se la sarebbe cavata da sola. Eleonora ci amava molto e mai ci avrebbe dato volontariamente il dolore della sua morte e mai, in ultima analisi, qualora avesse preso per assurdo quest’estrema decisione, ci avrebbe lasciato e se ne sarebbe andata definitivamente senza dedicarci almeno uno scritto…”.
Un ruolo processuale importante spetta all’ex compagno della vittima, Fabrizio Grasso, che dovrà chiarire i diversi punti oscuri che gravano sull’intera vicenda. I genitori di Eleonora non si aspettano nulla in tal senso:
”…Se consideriamo come questa brutta e orribile vicenda è stata gestita sin dall’inizio dagli inquirenti – conclude la madre della vittima – medico legale compreso, non ci aspettiamo nulla… Tuttavia ci dà una grandi speranze il fatto che il procedimento penale, a carico di Fabrizio Grasso, si sta svolgendo in Corte d’Assise con il Pm Marco Accolla, un magistrato che ha dimostrato grandi capacità professionali nell’ascolto dei testimoni, nella lettura degli atti giudiziari e nell’analisi degli elementi d’indagine in verità assai esigui. Stessa cosa per il presidente di Corte d’Assise, di cui è nota l’indiscussa competenza e professionalità estesa a tutti i membri del collegio giudicante. Vogliamo soltanto la verità…”.
Forse le investigazioni si sarebbero dirette da subito verso un caso di suicidio piuttosto che prendere in considerazione un femminicidio in piena regola seppur camuffato ad arte. E forse con più di qualche tentativo di depistaggio realizzato con cognizione di causa e probabilmente con l’aiuto di qualcuno. Quei documenti importanti che sono saltati fuori e quelle foto che avrebbero ritratto Eleonora con lividi ed ecchimosi devono far riflettere non poco. Il processo potrebbe portare ad una svolta reale. I genitori di Eleonora non mollano. Lei avrebbe voluto così.