Caso Sibilla Barbieri, la Procura di Roma chiede l’archiviazione

Coinvolti il figlio Vittorio Parpaglioni, Marco Cappato e Marco Perduca. La decisione finale spetta al Gip.

Roma – A due anni dalla scomparsa di Sibilla Barbieri, la Procura di Roma ha formulato richiesta di archiviazione per le tre persone che affiancarono la regista e attrice nel suo ultimo viaggio in Svizzera, dove scelse di ricorrere al suicidio assistito dopo una devastante battaglia contro il cancro. Si tratta del figlio Vittorio Parpaglioni, di Marco Cappato e di Marco Perduca, che dopo averla accompagnata si erano presentati spontaneamente alle autorità.

La richiesta rappresenta un passaggio procedurale importante ma non conclusivo: sarà il Giudice per le indagini preliminari a dover decidere se accoglierla o se invece convocare un’udienza per valutare una possibile imputazione coatta. Nonostante l’iter non sia ancora completato, per l’associazione Luca Coscioni si tratta già di un segnale positivo.

L’avvocata Filomena Gallo, che difende gli indagati ed è segretaria dell’associazione, ha sottolineato come Barbieri sia stata costretta a lasciare l’Italia per esercitare una scelta che qui le è stata negata. La legale ha lanciato un appello urgente alla politica affinché approvi una normativa sul fine vita che sia costituzionale, equa e rispettosa della dignità delle persone, criticando il testo attualmente in discussione al Senato che secondo lei moltiplica ostacoli anziché tutelare l’autodeterminazione.

Marco Cappato, più volte indagato per aver assistito pazienti decisi a ricorrere al suicidio assistito all’estero, ha dichiarato che eventualmente dovrebbe essere processato chi ha costretto Sibilla Barbieri a quel viaggio, privandola di un diritto. Ha ribadito che la disobbedienza civile continuerà finché il Parlamento non riconoscerà il diritto all’autodeterminazione individuale.

Sibilla Barbieri, artista e consigliera dell’associazione Luca Coscioni, quando la malattia oncologica entrò nella fase terminale rendendola dipendente dall’ossigenoterapia continua, aveva presentato formale richiesta all’Asl di Roma per accedere all’aiuto medico alla morte volontaria. Il suo percorso era stato condiviso pubblicamente attraverso i social media come forma di protesta e testimonianza civile.

Il rifiuto dell’azienda sanitaria capitolina non l’aveva fatta desistere, aveva solo reso il suo cammino più arduo. Sui social aveva spiegato di aver scelto di andare in Svizzera perché disponeva delle risorse economiche necessarie e della forza fisica per affrontare il viaggio, ma aveva denunciato la grave discriminazione verso chi non ha i mezzi, è solo o non dispone delle informazioni adeguate. Una discriminazione che secondo lei lo Stato avrebbe dovuto eliminare.

Una denuncia che continua a risuonare nel dibattito pubblico italiano sul fine vita, mentre la questione legislativa resta aperta e divisiva.