Del faldone aveva parlato l’ex segretario di Benedetto XVI. Ora la Santa Sede ne ammette l’esistenza, ma il Promotore di giustizia mette le mani avanti: “Valutare se i documenti sono autentici”.
ROMA – Il caso Orlandi si arricchisce, per modo di dire, di un altro importante tassello, sino a non molto tempo fa ritenuto un mistero. E della cui esistenza insistevano seri dubbi. Si tratta del famoso “Dossier Orlandi” che sarebbe stato visto sul tavolo di padre Georg Ganswein, all’epoca segretario e persona di fiducia di Papa Benedetto XVI. Da qualche giorno si è avuta conferma che quel fascicolo esiste sul serio ed è stato ritrovato. Lo afferma lo stesso Promotore di giustizia della Santa Sede, Alessandro Diddi il quale, come se si trattasse di una cosa nuova, mette avanti le mani dicendo che si dovrà appurare se i documenti in esso contenuti siano o meno autentici, facendo riferimento a cinque possibili piste investigative tutte da verificare.
Perché il dossier, arcinoto ma tenuto nascosto, è spuntato fuori solo adesso? Che cosa c’è scritto in quei documenti? Fanno per caso riferimento a certi incontri con esponenti del Vaticano più volte reiterati dal Procuratore Giancarlo Capalbo e che riguarderebbero lo scandalo della tumulazione di Enrico De Pedis, capo della banda della Magliana, nella basilica di Sant’Apollinare? In quel faldone con la scritta “Caso Orlandi” si parla anche del ritrovamento del cadavere di Emanuela sparita nel nulla il 22 giugno 1983? Quanto dichiarato da Diddi ha provocato la giusta reazione di Pietro Orlandi che non ha perso tempo per la replica:” Facciamo finta che lo abbiano trovato adesso e che non stava in Segreteria di Stato dal 2012…”. Occorre ricordare che del citato incartamento ne aveva già parlato, il 21 novembre scorso, l’ex comandante della Gendarmeria Vaticana, Domenico Giani, davanti alla Commissione bicamerale d’inchiesta sui casi Orlandi-Gregori.
L’ex ufficiale aveva riferito alcuni importanti dettagli sull’incontro con l’ex procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, avvenuto nel 2012, e mai ammesso prima. Un incontro riservato che avrebbe dovuto avere per scopo l’intervento delle autorità vaticane sulla inquietante sepoltura di De Pedis nella citata basilica onde evitare il proseguo delle aspre critiche dirette alla Santa Sede. Sull’esistenza di quella cartella di cartone riposta sulla scrivania di padre Georg, era stato il suo maggiordomo, tale Paolo Gabriele, che poi sarebbe finito nella melma dell’inchiesta Vatileaks, legata alla fuga di informazioni riservate della Santa Sede tra il 2012 e il 2015. Diddi ha detto anche che, trattandosi di documenti riservati, ci vorrà del tempo prima di venirne a capo soprattutto per ottenere la necessaria rogatoria, poiché trattasi di atti depositati presso uno Stato estero, dunque al di fuori della giurisdizione italiana.
In concreto, come afferma anche Pietro Orlandi, bisognerà comprendere se nel fascicolo i documenti ci sono tutti e se tutti arriveranno poi a destinazione. E non solo: chi può dire che gli atti siano esattamente corrispondenti a quanto riscontrato e documentato in tanti anni di indagini e depistaggi? Comunque stiano le cose in quel dossier si potrebbe anche riparlare del ruolo di don Pietro Vergari nella triste vicenda della sparizione della giovane cittadina vaticana. L’ex rettore di Sant’Apollinaire, infatti, indagato per concorso in sequestro di persona, avrebbe avuto una parte importante, di concerto con il cardinale Ugo Poletti, nel presunto rapporto di amicizia con il criminale Enrico De Pedis. Proprio quel rapporto profondo avrebbe portato poi alla dispensa di monsignor Poletti che autorizzava la sepoltura del boss della Magliana nella famosa basilica.
Chiesa questa facente parte del complesso di Sant’Apollinare dove la povera Emanuela studiava musica fino al giorno della sua scomparsa. Subito dopo la ragazza sarebbe stata riportata dentro le mura vaticane, secondo altre testimonianze che potrebbero trovarsi nel faldone, qualora fosse integro. Si saprà qualcosa in più quando davanti alla Commissione parlamentare si presenterà Marco Fassoni Accetti, il chiacchierato fotografo impelagato in brutte storie di minori e che fece ritrovare il flauto di Emanuela. L’uomo sarebbe stato anche il telefonista per conto dei sequestratori di Emanuela durante i primi contatti con la famiglia. Un personaggio ambiguo che non ha mai riferito esattamente i fatti di cui sarebbe a conoscenza. Ma soprattutto i nomi di certe persone che, ancora oggi, scottano non poco.