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Caso Ferragni, indagato per truffa aggravata anche il manager Fabio D’Amato

L’influencer lo ha spesso definito “il mio braccio destro e sinistro”: a lui si deve la vertiginosa scalata del brand. Intanto il pg della Cassazione stabilisce che sarà la Procura di Milano a occuparsi dell’inchiesta relativa al Pandoro-gate e affini.

Milano – La bufera che si è abbattuta su Chiara Ferragni travolge anche i suoi collaboratori più stretti. Fabio D’Amato, il manager della celebre influencer, è ora anche lui indagato per truffa aggravata in relazione ai casi del pandoro Balocco e delle uova di Pasqua di Dolci Preziosi nell’inchiesta condotta dalla Procura di Milano.

Nato a Barletta, ma trasferito giovanissimo a Milano per studiare, D’Amato si è laureato nel 2008 in Economia aziendale presso l’Università Bocconi. Dopo aver lavorato come fashion editor per Class Editor e per il Corriere della Sera, ha scritto di moda per diverse pubblicazioni tra cui Amica e MF Fashion. L’ingresso nell’universo-Ferragni risale al maggio 2017, quando è stato assunto nella società “The Blonde Salad” (TBS), nata dall’omonimo blog della Ferragni. Damato figura anche tra i produttori del film Chiara Ferragni Unposted e oggi ricopre il ruolo di general manager sia per TBS che per Chiara Ferragni Collection. Damato ha curato e gestito tutte le tappe più importanti dell’ascesa del brand. La stessa Ferragni ha dichiarato che è l’unica persona che la aiuta a scegliere gli outfit e lo ha definito “il mio braccio destro e sinistro”.

Chiara Ferragni è indagata per truffa aggravata: avrebbe fatto passare diverse operazioni commerciali come beneficienza, raggirando i consumatori.

Come stabilito dalla Procura generale della Cassazione, sarà quella di Milano la Procura competente per indagare sul caso Ferragni-Balocco, in particolare per quanto riguarda i pandori “griffati”. Nonostante l’ubicazione dell’azienda dolciaria a Cuneo avesse sollevato un conflitto di competenza territoriale tra gli inquirenti milanesi e quelli piemontesi, la decisione è stata presa a favore di Milano, poiché i contratti tra le società dell’influencer e l’azienda dolciaria piemontese per la sponsorizzazione del pandoro ‘Pink Christmas’ sono stati firmati a Milano. Inoltre, Chiara Ferragni è sotto inchiesta a Milano anche per i casi delle uova di Pasqua della Dolci Preziosi e della bambola prodotta in collaborazione con Trudi. Gli inquirenti hanno collegato i tre episodi come parte di un presunto “medesimo disegno criminoso”.

La Procura generale della Cassazione, nel decreto che assegna l’indagine a Milano, evidenzia l'”enfatizzazione della finalità benefica” nella campagna promozionale del pandoro Pink Christmas. Tale enfasi, amplificata attraverso i mezzi di comunicazione, inclusi i social media, ha tratto in inganno i consumatori che, acquistando il dolce a oltre 9 euro anziché i circa 3,68 euro del pandoro tradizionale, pensavano di contribuire a una causa benefica. La credibilità della influencer, con circa 30 milioni di follower, ha svolto un ruolo chiave in questa percezione. La Procura sottolinea che la menzogna da sola è sufficiente a configurare il reato di truffa, poiché rappresenta una forma tipica di raggiro. L’analisi del materiale informatico acquisito dalla Guardia di Finanza ha rivelato che la “strategia di comunicazione” per la vendita del pandoro è stata condivisa tra tutte le parti coinvolte nella vicenda, senza alcuna intenzione di collegare l’importo della liberalità alle vendite del dolce.

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