Accusati di rifiuto di atti di ufficio non hanno depositato documenti favorevoli alle difese nel processo che ha visto assolti tutti gli imputati.
Milano – Il Tribunale di Brescia ha condannato i pubblici ministeri milanesi Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro a 8 mesi di carcere per rifiuto di atti d’ufficio: l’accusa è di non avere depositato elementi che potevano essere favorevoli agli imputati nel processo Eni-Nigeria. I giudici hanno accolto la richiesta di condanna della Procura riconoscendo le attenuanti generiche e la sospensione della pena a entrambi. Claudio Descalzi, Ad del colosso di Stato, e il suo predecessore Paolo Scaroni, erano accusati di corruzione internazionale per le presunte tangenti pagate in Nigeria per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero. Alla fine di un lungo processo, vennero entrambi assolti assieme ad altri imputati.
“Il fatto non sussiste”, fu la sentenza. Ma se De Pasquale avesse depositato i nuovi elementi, ha spiegato il giudice che pronunciò quel verdetto, l’assoluzione sarebbe stata ancora più ovvia. Secondo la procura di Brescia, i due magistrati avrebbero tenuto in un cassetto prove ritenute fondamentali, tanto da suscitare il severo rimprovero dello stesso presidente del collegio giudicante, che ha duramente criticato i due magistrati nelle motivazioni della sentenza Eni.
L’avvocato Massimo Dinoia che assiste De Pasquale, 67 anni ed ex procuratore aggiunto a capo del pool reati internazionali della Procura di Milano, e Spadaro, 48 anni oggi sostituto alla Procura europea Eppo, ha depositato un’ultima memoria difensiva di 14 pagine a cui i pm Francesco Milanesi, Donato Greco e il procuratore Francesco Prete e la parte civile dell’ex console onorario in Nigeria, Gianfranco Falcioni, assistito dal legale Pasquale Annicchiarico, non hanno replicato. I fatti contestati nel processo si sono verificati fra gennaio e marzo 2021. Non rendendo noti al tribunale gli elementi acquisiti, dice in sostanza la sentenza di oggi, De Pasquale è venuto meno ai suoi doveri di magistrato: che prevedono l’obbligo di acquisire non solo gli indizi di colpevolezza ma anche le prove di innocenza.