Particolari omessi e dettagli balzati alla memoria dopo tanto tempo. Quanto c’è di vero? E se si trattasse di falsi ricordi per i traumi subiti?
Roma – In più occasioni Fiorella Baroncelli, la madre del piccolo Cristiano Aprile ucciso in via Levanna 35 nel febbraio del 1987, ha ricordato il passato arricchendolo di particolari inediti. Quanto c’è di vero nelle dichiarazioni fornite dalla moglie del professor Aprile?
Spesso la memoria gioca brutti scherzi. A volte un ricordo può modificarsi nel tempo, è un dato di fatto. Ma perché portare all’attenzione particolari che potrebbero far cambiare il corso delle indagini solamente dopo mesi e mesi?
I racconti di Fiorella Baroncelli
Sono due gli episodi, citati dalla madre di Cristiano in periodi e contesti differenti, che puntano i riflettori su questioni che appaiono senza solide fondamenta. Un primo racconto è stato fatto un mese dopo l’omicidio del figlio, ed è verbalizzato in un documento della Squadra Mobile datato 21 marzo 1987.
La Baroncelli ricorda che, circa quindici giorni prima dell’omicidio, Cristiano si era picchiato con un suo compagno di classe e il professore di arte ne era al corrente. L’ispettore Bertolini, verificando l’informazione, scopre invece che il docente era all’oscuro di tutto.

Un secondo episodio risale ad inizio febbraio 1987, quando Cristiano andò alla festa di compleanno in casa di una sua compagna. Questo racconto venne mandato in onda a Telefono Giallo, il 22 aprile 1988. A quanto pare, andando via dalla festa, alcuni teppisti in motorino, con fare aggressivo, seguirono Cristiano e un suo amico, costringendoli a nascondersi dentro diversi negozi, mescolandosi tra la folla, per non farsi prendere. Il motivo dell’inseguimento? Sconosciuto.
Informazioni irrilevanti per il caso? Forse. Ma la Baroncelli, quando ne parlava, sembrava convinta dell’importanza e del peso delle circostanze portate all’attenzione. Perché raccontare tutti questi episodi, molti dei quali, addirittura, un anno dopo? In che modo avrebbero potuto aiutare le indagini?
Ricordi confusi o dichiarazioni che celano qualcos’altro?
Il 3 marzo 1987 la Baroncelli dichiara di aver detto all’aggressore che in casa c’era solo Giada, in camera da letto. Il killer chiese quanti figli avesse e domandò l’età del più grande. La donna rispose, aggiungendo il particolare che gli altri due fossero a scuola. Perché tutto questo interesse? Forse perché la prima volta che era stato in casa aveva visto solamente Giada e Cristiano?
Solamente in un secondo tempo la Baroncelli si accorse della presenza di Cristiano. “È stato lui a vederlo per primo” e così, rettificò la risposta fornita poco prima. Dunque Fiorella era convinta che in casa ci fosse solamente Giada? Perché allora, nella puntata di Telefono Giallo, la madre di Cristiano, raccontando la dinamica dei fatti durante la conversazione su quanti fossero in casa, aggiunse la frase: “È Cristiano. Non è andato a scuola”?

Perché, ripercorrendo gli attimi in cui il killer le intimò di stare in silenzio e di non perdere la testa, domandandole dove fossero i soldi, lei ammise di aver pensato che bisognava solo salvare il salvabile, anzitutto i suoi figli, che dormivano: Cristiano nella sua stanza e Giada nel suo letto, al posto del marito”?
È stato un falso ricordo?
Com’è possibile che l’anno prima la signora Baroncelli fosse stata sorpresa nel trovare Cristiano nella sua camera e l’anno dopo, invece, abbia dichiarato di essere consapevole che il suo bambino fosse con lei e Giada in casa? È bene riportare, per dovere di cronaca, le parole della Baroncelli messe a verbale il 3 marzo: “Ho bussato alla parete per sollecitare mio figlio affinchè si preparasse. Lui mi rispose che lo stava facendo ed io, convinta che stesse per uscire, mi sono riassopita”. Come si può passare da una convinzione ad una certezza totalmente opposta?
Il killer conosceva la famiglia?
Durante la puntata di Telefono Giallo, Fiorella Baroncelli parlò del quadro, tenuto in soggiorno, in cui era ritratta la nonna materna di Cristiano. Ripetute volte, il bambino sostenne di aver visto muovere gli occhi, la testa e la mano della nonna raffigurata nell’immagine. Addirittura, iniziò a parlarle, a farle domande precise, dato che riferì che il quadro gli accennava qualcosa.
La Baroncelli ammise che nessuno della famiglia credeva a tutto ciò, ma evitarono, ad ogni modo, di deriderlo. Cristiano aveva dodici anni. Sarà stato tutto frutto della sua fantasia? Sicuramente, si tratta di una circostanza alquanto insolita.

Nel verbale redatto al Policlinico Umberto I il 3 marzo 1987, la Baroncelli non menzionò mai richiami al quadro in questione. Eppure, nella puntata del programma di Corrado Augias, andata in onda l’anno dopo, emerse anche il fatto che il killer sapesse chi era la donna raffigurava nel dipinto.
“T’a preghi dopo a tu madre”, disse l’aggressore.
Dunque l’assassino sapeva che la donna del dipinto era la madre della Baroncelli? Conosceva così a fondo la famiglia Aprile? Se fosse così, perché il killer chiese quanti figli avesse la donna? Di questa terribile vicenda restano tanti dubbi e tante domande. Purtroppo, molte meno risposte.
(Fine Quarta Parte)