I pm di Milano ottengono la misura di prevenzione per l’azienda colpevole di aver agevolato lo sfruttamento dei lavoratori nei subappalti.
Milano – Lo scorso 21 marzo i carabinieri del Nucleo ispettorato fanno un sopralluogo in una pelletteria a Opera, hinterland sud del capoluogo lombardo. Nel capannone trovano 23 lavoratori, di cui 17 cittadini cinesi e 5 filippini. Tutti senza regolare contratto di lavoro e costretti a dormire in camere di fortuna sopra il laboratorio. Il luogo in cui veniva cucita, tra altri prodotti, il modello PO312YKY della borsa Christian Dior. Un accessorio acquistabile nelle boutique della maison a 2.600 euro mentre il costo di produzione è pari a 53 euro. Come già successo per Alviero Martini spa e Giorgio Armani operation, il Tribunale di Milano, su richiesta dei pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, ha messo in amministrazione anche Manufactures Dior, il ramo operativo della divisione Christian Dior Italia che risponde alla casa madre francese del gruppo leader mondiale del lusso Lvmh Moët Hennessy Louis Vuitton.
“La vicenda fotografata dalle indagini relative alle società in questione è in verità un campanello di allarme sintomatico di una più estesa e diffusa organizzazione della produzione – osservano i giudici della sezione autonoma misure di prevenzione -. Non si tratta di fatti episodici o limitati a singole partite di prodotti, ma di un sistema di produzione generalizzato e consolidato, tenuto conto che dalle verifiche effettuate sono emerse modalità di organizzazione imprenditoriale rivelatrici di un modus operandi collaudato e sperimentato nel tempo”.
Tale sistema consente di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo l’opificio cinese che produce effettivamente i manufatti ad abbattere i costi da lavoro (contributivi, assicurativi e imposte dirette) facendo ricorso a manovalanza “in nero” e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i Contratti Collettivi Nazionali Lavoro di settore riguardo retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie.
Ad attestare i rapporti tra il ramo operativo di Dior e gli opifici cinesi ci sono i “documenti di trasporto” con cui si scambiano il materiale di lavorazione ed il relativo prodotto finito. “Da gennaio 2024 sono stati acquisiti dalla appaltatrice Elisabetta Yang”, la pelletteria di Opera, 126 bolle di trasporto “attraverso i quali la predetta società rimette il prodotto lavorato nelle varie sedi ed altre società ricollegabili alla Manufactures Dior srl come quelle di Lugagnano Val D’Arno (PC), Scandicci (FI)e Croce sull’Arno (PI). Le schede di lavorazione e di validazione forniscono rispettivamente indicazioni tecniche sul modello lavorato, sui codici dei singoli materiali da utilizzare ed assemblare e sulla validazione delle lavorazioni effettuate secondo le specifiche della casa madre”.
Ora il Tribunale di Milano affianca al management della Manufactures Dior un amministratore giudiziario con l’obiettivo di “analizzare i rapporti con le imprese fornitrici in corso in modo da evitare che la filiera produttiva si articoli attraverso appalti e subappalti con realtà imprenditoriali che adottino le illecite condizioni di sfruttamento dei lavoratori” e “a rimuovere, ove necessario, i rapporti contrattuali tuttora in essere con soggetti direttamente o indirettamente collegati a tali realtà imprenditoriali”.
Si evidenzia che il procedimento penale per caporalato e per emissione di fatture false per operazioni inesistenti si trova nella fase delle indagini preliminari e che le responsabilità in merito saranno definitivamente accertate solo ove intervenga una sentenza irrevocabile di condanna.