Da solo si era messo in testa di liberare dalla schiavitù i suoi amici che per un paio di euro buttavano sudore e sangue nelle campagne. Il rais ha deciso che bisognava toglierlo di mezzo e cosi è stato.
Caltanissetta – Avrà già lasciato l’Italia Adnan Siddique quando, il prossimo venerdì, amici, conoscenti e i cittadini di Caltanissetta si riuniranno in un corteo silenzioso per ricordare il giovane di 32 anni, di origini pakistane morto perché voleva combattere le ingiustizie e la mafia del caporalato. La sua salma ha già lasciato Caltanissetta per raggiungere Milano e poi volare alla volta di Lahore, paese in cui il giovane viveva con i genitori e 9 fratelli fino a cinque anni fa quando ha deciso di cercare un futuro migliore in Italia. Nel Bel Paese ha trovato la morte. Ad ucciderlo, con 5 pugnalate alle gambe, alla schiena e al torace, il 3 giugno scorso nella sua casa di via San Cataldo, a Caltanissetta, sono stati 4 suoi connazionali, balordi che volevano vivere sfruttando i lavoratori delle campagne e che Andnan, sebbene con quel lavoro non c’entrasse nulla, aveva denunciato. L’uomo temeva per la sua incolumità, lo aveva confessato agli amici più cari. Già una volta era stato picchiato a sangue ed era finito in ospedale:“…Se non mi vedrete più in giro – aveva confessato Siddique ad un amico – sapete chi sono i miei carnefici…”.
Tutti descrivono Adnan come una persona gentile, socievole, buona. Al contrario dei suoi aguzzini che, secondo alcuni testimoni, non facevano altro che ubriacarsi e scatenare risse dopo il lavoro nelle campagne. La mattina del 10 giugno scorso, prima che la salma lasciasse Caltanissetta, numerosi suoi amici si sono radunati davanti all’ospedale S. Elia per l’ultimo saluto. Tanti i volti commossi di quanti hanno ricordato Adnan come una persona speciale. Ma quei maledetti connazionali lo tormentavano, non volevano che denunciasse i caporali. Lui invece prendeva per mano i suoi amici braccianti e li aiutava a trovare il coraggio perché si ribellassero a quel sistema di rivoltante sfruttamento contiguo alle attività mafiose. Recentemente aveva accompagnato un suo connazionale dai carabinieri e questo suo modo di fare l’avrebbe condannato a morte.
Adnan Siddique, che amava tantissimo la Sicilia dove aveva trovato lavoro come riparatore di macchinari tessili, aveva programmato il suo primo ritorno in Pakistan a breve per ritrovare la famiglia ma i suoi desideri sono stati stroncati dalla lama di un coltello lunga 30 centimetri poi recuperato dopo l’omicidio. Qualcuno avrebbe ordinato l’uccisione del giovane “scomodo” oppure il delitto sarebbe riconducibile ad un piano premeditato dai suoi connazionali caporali? Le indagini sono condotte dai carabinieri di Caltanissetta. Oltre ai quattro connazionali arrestati, un quinto è stato rilasciato con obbligo di firma. Li stava aiutando a fuggire. Adnan Siddique ritornerà invece nel suo Paese di origine grazie alla comunità pakistana che ha risposto all’appello dei familiari del riparatore che avevano dichiarato di non avere le possibilità economiche per pagare le spese del viaggio della salma.
Per l’ultimo saluto ad Adnan Siddique, a Caltanissetta, oltre agli amici e alla gente comune, c’erano il sindaco della città e diversi sindacalisti. Poche ore dopo la morte del tecnico, sull’omicidio erano intervenuti anche i rappresentati della Flai Cgil Sicilia e Caltanissetta, Tonino Russo e Giuseppe Randazzo:
“… L’uccisione, la sera del 3 giugno a Caltanissetta del pakistano Siddique Adnan è un fatto gravissimo – scrivono i rappresentanti sindacali – soprattutto se, come sembra, dietro l’omicidio ci sono i caporali a cui la vittima si sarebbe opposta prendendo le difese di alcuni lavoratori. Si confermerebbe che nessuna provincia è immune dal caporalato. A questo punto la piena applicazione della legge 199/2016 diventa urgente, per garantire un corretto incrocio tra domanda e offerta di lavoro agricolo e avere finalmente strumenti fondamentali al reale contrasto al lavoro nero, allo sfruttamento e ai drammatici fenomeni di caporalato. I lavoratori agricoli pakistani rappresentano il 10% del totale dei lavoratori stranieri, comunitari e non, nella provincia e nella sola città di Caltanissetta il 20% dei lavoratori agricoli, la comunità straniera più numerosa. Confidiamo nel lavoro degli organi inquirenti e delle forze dell’ordine e siamo fiduciosi che si possa arrivare alla verità contribuendo a sradicare il fenomeno dello sfruttamento del lavoro agricolo diffuso nella provincia…”. Il fenomeno dello sfruttamento dei braccianti stranieri e italiani, in tutto il territorio nazionale, da Caltanissetta a Pavia, continua da troppi anni e nessuna legge è riuscita a limitare il tristissimo rituale tribale. L’incertezza delle pene da scontare aiuta i malavitosi a reiterare i reati, certi della loro impunità. Quando ci scappa il morto, se ne riparla per un paio di giorni. Poi cala il silenzio, colpevole come sempre.