Azione candida l’ex consigliere Pd esponente della comunità ebraica di Milano tra le sue fila. Ma ha idee diametralmente opposte alle sue.
Roma – Il 14 marzo scorso il consigliere comunale del Pd ed esponente della comunità ebraica di Milano, Daniele Nahum, aveva annunciato durante il Consiglio comunale di lasciare il partito. In polemica con la scelta di alcune frange del Partito Democratico di usare la parola genocidio per descrivere ciò che accade a Gaza. “Annuncio in questa aula che la mia esperienza all’interno del Partito democratico è conclusa – aveva detto -. Lo dichiaro senza risentimento, anche con gratitudine verso questa comunità politica che ha accompagnato la mia vita per dieci anni”. Ma Nahum sapeva già che ad attenderlo a braccia aperte – per candidarlo alle europee – c’era proprio Carlo Calenda.
Infatti, meno di un mese dopo dal leader di Azione ha annunciato che Nahum era tra i suoi candidati. Una scelta quanto mai singolare quella di Calenda, se si va a ritroso nelle sue dichiarazioni su Gaza. Il 28 febbraio, due settimane prima che l’ex consigliere del Pd della comunità ebraica milanese facesse le valigie dai compagni dem, in un post sui social – nel giorno bisesto del 29 febbraio – aveva detto con durezza: “Quanto accaduto a Gaza è semplicemente agghiacciante. Le responsabilità dirette vanno accertate rapidamente. Ma la situazione a Gaza è inaccettabile da troppo tempo. Israele è andata molto al di là del diritto di difendersi’”.
E ancora giù duro: “Il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi vanno imposti ora da tutta la comunità internazionale e Netanyahu va cacciato il prima possibile”. Insomma, mentre Calenda “picchiava” i pugni sul tavolo a difesa di Gaza, Nauhm stava decidendo di lasciare il Pd per motivi opposti, seguendo la scia di un altro dissenziente dalla parola genocidio. Una settimana prima Roberto Cenati si era dimesso da presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Milano, in polemica con la scelta della stessa Anpi di etichettare come “genocidio” l’attacco di Israele nella Striscia di Gaza.
“Le dimissioni nascono da un dissenso – aveva detto Cenati – con una parte importante della linea dell’associazione, che promuoverà il 9 marzo con la Cgil una manifestazione con alcune parole d’ordine: alcune condivisibili come “liberate gli ostaggi” e “cessate il fuoco”; altre no come “fermiamo il genocidio”, aveva detto. E il consigliere comunale lo aveva seguito a ruota. Con una precisa mira, trovare la sua nuova casa in Azione, con un leader che la pensa esattamente all’opposto.
E se la politica molto spesso è convenienza, qui ci troviamo di fronte a uno scontro ideologico tra candidato e “candidatore” senza precedenti. Approdato al gruppo dei Riformisti in consiglio comunale senza aderire ufficialmente ad alcun partito (il gruppo è composto da consiglieri di Azione e di Italia Viva, e aveva tra i candidati a Palazzo Marino anche esponenti di +Europa), Nahum ha poi sciolto la riserva sulle elezioni del Parlamento europeo. “Sono onorato di dargli il benvenuto, Nahum sarà candidato con noi alle elezioni europee”, ha detto il leader di Azione, durante una conferenza stampa a Roma: “Il nostro obiettivo è avere le migliori liste mai presentate alle elezioni europee, con candidati competenti e con idee coerenti tra loro”.
A proposito di coerenza, la divergenza con quanto detto su Gaza da Calenda e la successiva scelta di schierare il dissenziente, fa impallidire. “Nahum, con la sua storia radicale e le sue sensibilità, è il candidato giusto per il Parlamento europeo in un momento in cui, in alcuni Stati, assistiamo alla violazione dei diritti delle persone”, ha aggiunto Giulia Pastorella, deputata e vice presidente di Azione, consigliera comunale a Milano.
“Il Pd – aveva detto Nahum entrando nel gruppo dei Riformisti al Comune di Milano – è appiattito al Movimento 5 Stelle in politica interna, ad esempio sul superbonus, e in politica estera, sulla questione israelo-palestinese e sulla guerra in Ucraina”. Nahum, in particolare, aveva puntato il dito contro alcuni esponenti milanesi del Pd che avevano partecipato a manifestazioni “pro pal” durante le quali si gridava, tra l’altro, lo slogan “dal fiume al mare Palestina libera”: “Significa – aveva detto – che vogliono buttare a mare la mia famiglia”.
E alle famiglie palestinesi buttate a mare – dicendola in modo soft per non dire trucidate – che fine gli facciamo fare? I diritti, soprattutto quello alla vita, appartengono a tutti. Anche la pace. Tanto che tra i partiti che hanno depositato il simbolo al Viminale, c’è stato anche il M5s, per mano del leader Giuseppe Conte: nel simbolo, oltre alla parola “Movimento” e le 5 stelle, c’è anche la scritta 2050, anno per la neutralità climatica, e la parola pace. Calenda gli ha rivolto parole non proprio pacifiche o pacifiste: “Che vergogna – ha tuonato -, la strumentalizzazione della parola pace, che in questo caso vuol dire resa a un dittatore fascista. L’essenza del qualunquismo. Disgustoso”. Ma – verrebbe da dire – da quale pulpito viene la predica?