Bonus ai medici di base che prescrivono meno esami

Chi non oltrepassa i livelli del 2024 su dodici tipologie di esami guadagna 1,20 euro per paziente. Il centrodestra all’attacco.

Modena – Una sperimentazione che sta dividendo il mondo sanitario e quello politico. L’Ausl di Modena ha messo nero su bianco un meccanismo che premia economicamente i medici di medicina generale capaci di non aumentare, nel 2025, le richieste di visite ed esami specialistici rispetto all’anno in corso. Sulla carta, l’intento è nobile: razionalizzare un sistema ingolfato, eliminare gli sprechi, indirizzare i pazienti solo verso controlli realmente necessari. Nella pratica, però, l’iniziativa sta sollevando interrogativi che vanno ben oltre i confini modenesi.

Il funzionamento è lineare quanto controverso. Per ogni assistito seguito, il medico incasserà 1,20 euro aggiuntivi a fine anno se le sue prescrizioni rimarranno entro i parametri già toccati nel 2024. Con un massimale medio di 1.500 pazienti per professionista, si parla di un riconoscimento che può sfiorare i 1.800 euro. Non risorse fresche, precisa l’azienda sanitaria: il denaro proviene da stanziamenti già assegnati alla medicina territoriale. L’operazione viene descritta come un tentativo di monitoraggio intelligente, non come una stretta punitiva. Eppure il confine tra controllo e condizionamento appare sottile.

Le dodici prestazioni finite nel mirino rappresentano alcuni dei colli di bottiglia più critici del sistema sanitario regionale. Visite in dermatologia, oculistica, urologia, fisiatria, gastroenterologia, pneumologia, otorinolaringoiatria e chirurgia vascolare, accompagnate da indagini strumentali pesanti come TAC, risonanze magnetiche, gastroscopie e colonscopie. Sono proprio questi gli ambiti dove le liste d’attesa si allungano a dismisura e dove, secondo l’Ausl, si annidano margini di ottimizzazione. La fotografia del 2024 diventa quindi il punto di non ritorno: superarlo significa rinunciare al premio.

L’azienda sanitaria modenese ha tenuto a blindare un principio: nessun vincolo alla libertà prescrittiva. Se il quadro clinico lo richiede, il medico può e deve richiedere qualunque accertamento ritenga indispensabile, senza temere penalizzazioni. L’accordo non impone tetti rigidi ma soglie di riferimento, costruite sui comportamenti prescrittivi passati di ciascun professionista. L’idea di fondo è scoraggiare automatismi e ripetizioni inutili, non bloccare diagnosi necessarie. Ma è proprio qui che si annida il dubbio: può un incentivo economico, per quanto presentato come volontario, restare davvero neutro rispetto alle scelte mediche?

La risposta politica non si è fatta attendere. Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno chiesto alla Regione Emilia-Romagna di uscire allo scoperto: questo schema è destinato a restare un esperimento circoscritto o diventerà un modello da replicare nelle altre province? Il timore è che si stia aprendo una strada pericolosa, dove l’equilibrio tra sostenibilità del sistema e diritto alla cura rischia di sbilanciarsi. Da Bologna non sono ancora arrivate risposte ufficiali, ma il dibattito è ormai aperto e travalica i confini tecnici per entrare nel territorio politico e deontologico.

In un contesto in cui un italiano su dieci rinuncia a curarsi per liste d’attesa insostenibili, come certificato dall’Istat, l’esperimento modenese solleva una questione più ampia: fino a che punto è legittimo spingere i medici, attraverso leve economiche, a contenere le prescrizioni? E soprattutto, chi garantisce che a pagarne il prezzo non siano proprio i pazienti più fragili, quelli per cui un esame in più potrebbe fare la differenza?