L’ex procuratrice aggiunta di Milano fa il nome della fonte che bruciò le prime investigazioni sui presunti legami con Cosa Nostra.
Milano – Una delle pagine più controverse della Prima Repubblica torna alla luce attraverso un interrogatorio e un’intercettazione che gettano nuova luce su uno dei misteri più dibattuti degli anni Novanta. Al centro della vicenda c’è Ilda Boccassini, l’ex procuratrice aggiunta di Milano soprannominata “La Rossa” ai tempi di Tangentopoli, che ha finalmente fatto il nome della fonte che nel 1994 rivelò un’indagine sui presunti legami tra Silvio Berlusconi e la mafia.
La confessione ai magistrati
In un verbale del 10 giugno 2024, Boccassini ha dichiarato ai magistrati di Firenze che a fornire quella scottante informazione fu Gianni De Gennaro, all’epoca direttore della Dia (Direzione investigativa antimafia), poi diventato capo della Polizia, direttore del Dis, sottosegretario con delega ai servizi segreti, presidente di Finmeccanica e, da luglio 2023, del consorzio Eurolink per il ponte di Messina.
Le origini: la storia di Cancemi
La vicenda affonda le radici nel febbraio 1994, quando il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi, negli uffici del Ros di Roma, rivela dettagli esplosivi: un emissario di Berlusconi consegnava mensilmente 200 milioni di lire al boss Pierino Di Napoli, soldi pattuiti da Marcello Dell’Utri. Questi pagamenti sarebbero avvenuti sia prima che dopo le stragi di Falcone e Borsellino nel 1992.

Subito dopo la vittoria elettorale di Forza Italia, il 21 marzo 1994, quel verbale finisce sulle pagine di Repubblica in un articolo firmato da Giuseppe D’Avanzo, il giornalista che morirà nel 2011 per un infarto mentre andava in bicicletta.
La rivelazione sul letto di morte
Secondo quanto racconta Boccassini, fu proprio D’Avanzo a rivelarle il nome della fonte ma solo poco prima della sua morte improvvisa. “Proprio pochi giorni prima della sua morte il 30 luglio 2011, alla mia ennesima sollecitazione finalmente D’Avanzo mi raccontò cos’era avvenuto 17 anni prima“, ha scritto l’ex magistrata nel suo libro “La stanza numero 30”.

Nel volume, pubblicato nel 2021, Boccassini aveva lasciato intendere di conoscere l’identità della fonte, senza però fare nomi: “Non c’è dubbio che la persona che si era rivolta a Peppe era consapevole del danno che sarebbe derivato alle indagini. Forse sarebbe importante per tutti se volesse confrontarsi sui motivi che lo hanno spinto ad agire in quel modo”.
Secondo il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta, Santi Bologna, quella fuga di notizie “bruciò di fatto le prime indagini sui presunti collegamenti tra Cosa Nostra, Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi” e “mise al riparo Silvio Berlusconi da possibili sviluppi investigativi”. All’epoca Di Napoli era sotto sorveglianza, anche da parte dei Ros di Mario Mori.
La decisione di parlare
Inizialmente, quando si era presentata davanti ai pm, Boccassini non aveva rivelato il nome della fonte. La svolta arriva quando si trova di fronte al rischio di un’indagine per false dichiarazioni. Il 14 dicembre 2021, l’ex magistrata decide di vuotare il sacco, anche se aveva già pubblicato il libro in cui faceva trapelare di conoscere l’identità del responsabile.
Le intercettazioni
La vicenda si arricchisce di un altro elemento: il 20 giugno 2024, la Procura di Firenze riceve atti da Caltanissetta che rivelano come nel 2022 sia stato installato un trojan sul cellulare di Boccassini. Le intercettazioni hanno captato due conversazioni dell’aprile 2022 tra l’ex pm e un giornalista in pensione, amico sia suo che di D’Avanzo.
In una di queste intercettazioni, Boccassini fa un riferimento velato alla vicenda: “Immagino sarà sulla stessa cosa del libro… di Firenze… il fatto di Peppe… la fonte… Non vedo altra cosa se non il solito… quattro righe… su Deg…”.
La versione di De Gennaro
Convocato a sua volta dai magistrati, De Gennaro ha negato tutto, pur riconoscendo che sia Boccassini che D’Avanzo sono “due persone serie”. L’ex superpoliziotto ha sostenuto che il giornalista nel 1994 sia stato indotto in errore, poiché l’indagine dell’epoca non lo vedeva come responsabile diretto ma era destinata genericamente agli uffici della Dia.

Secondo la sua interpretazione, qualcuno avrebbe divulgato il segreto facendo falsamente credere di agire con il suo benestare.
Anche Attilio Bolzoni, che firmò l’articolo insieme a D’Avanzo nel 1994, pur opponendo il segreto professionale sulla fonte, ha testimoniato che “si trattò di investigatori diversi dai comandanti Ros”, confermando indirettamente che la fuga di notizie provenisse da altri ambienti.
Un mistero che si svela
Dopo decenni di silenzio e speculazioni, la testimonianza di Boccassini apre uno squarcio su una delle pagine più controverse della storia politica italiana. La rivelazione di quell’indagine nel momento cruciale delle elezioni del 1994 aveva infatti cambiato il corso degli eventi, proteggendo di fatto Berlusconi da possibili conseguenze giudiziarie che avrebbero potuto influenzare il suo futuro politico.
Spetta ora ai magistrati valutare le implicazioni di questa confessione e stabilire se ci siano stati reati nella gestione di quelle informazioni riservate, in un intreccio che coinvolge alcuni dei protagonisti più importanti della lotta alla mafia e dell’informazione italiana degli ultimi trent’anni.