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ARESE – TRAFFICO DI CELLULARI RUBATI E RIVENDUTI COME NUOVI. TRE ARRESTI DEI CARABINIERI.

Arese – Riconosce su internet il computer che gli avevano rubato, in tre finiscono ai domiciliari. Tutto inizia appunto dal furto di un computer che, qualche tempo dopo, viene messo in vendita su internet. Ironia della sorte tra gli acquirenti interessati a quel computer c’è finito anche il suo legittimo proprietario che, avendolo riconosciuto non ha perso tempo ed ha avvisato immediatamente i carabinieri. Da quella denuncia è partita l’indagine “Deep Phone” – che richiama il concetto di “deep web” ovvero il lato oscuro di internet, inaccessibile se non ai più esperti, dove l’illegalità è quasi “di casa”  – condotta appunto dai carabinieri della Stazione di Arese (Mi), Compagnia di Rho, sotto la direzione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano che hanno individuato i tre rivenditori online, una donna italiana di 29 anni e due uomini egiziani di 36 e 28 anni, tutti residenti a Milano, poi denunciati per i reati di associazione a delinquere con finalità di ricettazione e riciclaggio di dispositivi elettronici.

Parte della refurtiva

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Grazie a sofisticati malware, gli indagati riuscivano a modificare i codici Imei dei cellulari – ovvero quei codici, uno per ciascun dispositivo, composti da 15 cifre che consentono di identificare in maniera univoca un determinato cellulare insieme ai dati di chi effettua il primissimo accesso – per poi rivenderli come se fossero nuovi. Non solo: spesso li rivendevano a soggetti stranieri ad un prezzo maggiorato insieme a schede sim da loro stessi prodotte.  Un vero e proprio business illecito di apparati telematici rubati, tutti della stessa casa statunitense, con punti base in due negozi di telefonia del centro di Milano. Un mercato illegale che fruttava migliaia di euro.

Senza entrare in tecnicismi informatici, modificando i codici Imei i tre ladri riuscivano ad eludere le misure di sicurezza illudendo l’acquirente di avere in mano, e quindi di aver comprato un cellulare, o un pc, senza nessun pregiudizio legale. Nuovo di zecca o, al massimo, “ricondizionato” termine che indica “l’usato garantito” nel mondo dell’elettronica. Se poi quei dispositivi venivano abbinati ad una scheda intestata ad un prestanome, l’acquirente riusciva a diventare irrintracciabile, un “fantasma virtuale”, in modo tale da poter utilizzare telefoni e pc per commettere reati, senza lasciare traccia.

Le insidie del web

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Per attribuire la reale paternità dei dispositivi sequestrati e quindi dimostrare il reato, è stata necessaria una lunga attività di intermediazione con l’ufficio preposto della casa madre, il più noto marchio americano di computer e dispositivi elettronici che, su insistenza dei carabinieri, ha rilasciato i segretissimi codici ID permettendogli così di risalire alle identità reali di chi ha effettuato il primo accesso sui dispositivi, e quindi ricollegarli alle denunce di furto presentate in passato. Una collaborazione fondamentale per rivelare il giro illecito e assicurare i 3 soggetti alla giustizia, oltre a rivelare dettagli e possibilità finora sconosciute nel campo dell’investigazione telematica.

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