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Angelo Iaconeta, il nome che il Gargano non può dimenticare

Dal 2003 nessuna traccia del guardiano di Mattinata. Tra risse e minacce, la famiglia chiede verità. Le dichiarazioni dei pentiti potrebbero spezzare il silenzio.

Mattinata – La mattina del 7 luglio 2003, Angelo Iaconeta usciva di casa a Mattinata (Foggia) sereno e tranquillo, dopo aver bevuto un caffè. Saliva sulla sua Fiat Uno bianca e si allontanava per non fare mai più ritorno. Angelo Iaconeta è uno dei tanti casi di lupara bianca del Gargano: 22 anni fa è sparito nel nulla, inghiottito nei silenzi della sua città, Mattinata. A distanza di oltre due decenni, quella scomparsa rimane uno dei misteri più inquietanti del promontorio pugliese, un caso emblematico del potere della criminalità organizzata garganica e del muro di omertà che ancora oggi avvolge questi territori.

Il guardiano che sapeva troppo

Angelo Iaconeta aveva 37 anni quando scomparve. Lavorava come guardiano in uno stabilimento balneare di Mattinata e conduceva, almeno in apparenza, una vita che molti non avrebbero mancato di definire “normale”. La sua auto venne ritrovata in un bosco 45 giorni dopo la scomparsa. Di Angelo però nessuna traccia. Questo dettaglio fece subito ipotizzare un caso di “lupara bianca”, il metodo tipico della mafia per far sparire le vittime senza lasciare tracce.

Una settimana prima della sparizione, Iaconeta era rimasto coinvolto in una violenta rissa con un altro guardiano di stabilimento. Durante lo scontro erano stati esplosi colpi di pistola. Il 37enne aveva raccontato ai familiari di essere stato minacciato con un’arma da fuoco ma di essere riuscito a disarmare l’aggressore. La versione dell’altro uomo, però, era completamente diversa.

La notte della rissa, i Carabinieri effettuarono una perquisizione a casa di Iaconeta alla ricerca di armi ma tornarono in caserma a mani vuote. Sette giorni dopo la sua scomparsa, il 14 luglio, qualcuno sparò due colpi di fucile contro un amico e collega di Iaconeta.

tribunale foggia
Tribunale di Foggia

Un’escalation che spinse la Procura della Repubblica di Foggia a trasmettere il fascicolo alla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari.

Le piste investigative e i sospetti

A 22 anni di distanza non si hanno ancora notizie di Angelo Iaconeta. La verità dei nuovi pentiti potrebbe far luce non solo sul caso del 37enne che all’epoca dei fatti lavorava in un lido come guardiano ma anche su altri casi di lupara bianca che hanno segnato il Gargano negli ultimi decenni.

Gli amici e i parenti di Angelo Iaconeta si sono sempre detti convinti che la sua scomparsa non fosse legata alla rissa o agli spari contro il collega ma a un altro motivo, mai chiarito. Tra le ipotesi al vaglio degli inquirenti, ci sarebbe anche quella di una relazione extraconiugale con la moglie di un componente di una famiglia criminale locale, un elemento che potrebbe aver scatenato la vendetta del clan.

Il ritrovamento dell’auto intatta, senza segni evidenti di lotta o colluttazione, ha sempre rappresentato un elemento controverso. Questo dettaglio spinse inizialmente i familiari a escludere un omicidio di stampo mafioso, suggerendo invece di indagare sulla vita privata del giovane. Tuttavia, con il passare degli anni e l’evolversi delle conoscenze sulla criminalità garganica, questa ipotesi ha perso credibilità.

Il contesto: la mafia garganica e il controllo del territorio

Per comprendere la scomparsa di Angelo Iaconeta è necessario inquadrarla nel contesto della mafia garganica del primo decennio degli anni 2000. Mattinata era allora sotto il controllo di gruppi criminali legati al clan Lombardi-Scirpoli-Raduano, una delle organizzazioni più potenti e spietate del promontorio.

“Su Mattinata stavamo io e mio fratello Andrea”, ha dichiarato Antonio Quitadamo detto “Baffino”, uno dei pentiti che negli ultimi anni hanno iniziato a collaborare con la giustizia.

Uno scorcio di Mattinata

La famiglia Quitadamo controllava insieme agli Scirpoli il territorio di Mattinata con metodi brutali. “Ho partecipato a tre lupare bianche e due omicidi”, ha confessato Antonio Quitadamo durante il processo “Omnia Nostra”, rivelando la spietatezza di un’organizzazione che non esitava a far sparire chiunque rappresentasse un ostacolo ai propri affari.

La svolta dei pentiti: nuove speranze per la verità

Negli ultimi anni, il panorama della mafia garganica è stato sconvolto da una serie di collaborazioni con la giustizia. Sul Gargano si contano 12 pentiti, un numero impensabile fino a pochi anni fa, quando il codice del silenzio sembrava inviolabile.

La fine della parabola criminale dei “Baffino” di Mattinata era nell’aria. Un tempo temuti da tutti, oggi Antonio e Andrea Quitadamo hanno scelto la via della collaborazione, aprendo uno spiraglio di luce su decenni di crimini rimasti impuniti.

Particolarmente significative sono state le rivelazioni di Pasquale Notarangelo, detto “Natale”, altro collaboratore di giustizia del gruppo di Mattinata. “Il mio gruppo ha ucciso Armiento a Mattinata, Ivan Rosa, Omar Trotta, Leonardo Clemente, Silvestri sul porto”, ha confessato durante gli interrogatori, facendo riferimento a diversi omicidi e sparizioni che hanno insanguinato il Gargano.

Fu dunque “Natale” a occuparsi degli occultamenti di un numero non ben precisato di corpi, per i quali le famiglie attendono ancora una degna sepoltura.

L’appello disperato della famiglia Iaconeta

In tutti questi anni la famiglia di Angelo Iaconeta non ha mai smesso di cercare la verità. A distanza di oltre due decenni, e alla luce delle nuove rivelazioni di numerosi pentiti di mafia, i familiari – gli anziani genitori e la sorella – continuano a chiedere verità sull’accaduto.

Attraverso il loro legale, l’avvocato Pierpaolo Fischetti del foro di Foggia, i parenti hanno lanciato un accorato appello al procuratore capo dottor Rossi e agli organi inquirenti. “La famiglia di Angelo chiede agli organi competenti, e nello specifico al Procuratore Capo dottor Rossi, di poter conoscere la verità attraverso le dichiarazioni di collaboratori di giustizia delle associazioni mafiose locali”.

Procuratore Rossi

“I miei assistiti chiedono agli organi competenti e nello specifico al procuratore capo dottor Rossi di poter conoscere quale sia la verità della scomparsa di Angelo e soprattutto dove trovare il corpo per una degna sepoltura”.

L’avvocato Fischetti rappresenta anche altre famiglie di vittime di lupara bianca del Gargano. “Vi prego, aiutateci a sapere cosa è successo ad Angelo. Non vogliamo vendetta, vogliamo solo la verità”, continuano a ripetere i familiari di Iaconeta.

Un territorio segnato dalle sparizioni

Il caso di Angelo Iaconeta non è isolato nel panorama criminale garganico. Francesco Li Bergolis, allevatore incensurato ma parente dei più noti ‘Ciccillo’ e Pasquale, è svanito nel nulla il 24 giugno del 2011. Francesco Armiento è scomparso il 27 giugno 2016. Si tratta di sparizioni che rappresentano altri tasselli di un mosaico di violenza e omertà che ha caratterizzato il promontorio per decenni.

Le speranze della giustizia

“I parenti di Iaconeta – fa sapere il legale della famiglia Pierpaolo Fischetti – si augurano che le rivelazioni dei pentiti possano riaccendere i riflettori dello Stato sulle sorti del proprio caro e restano fiduciosi nella Magistratura”.

La recente ondata di collaborazioni ha portato a risultati concreti in altri casi di criminalità garganica, alimentando le speranze che anche il mistero di Angelo Iaconeta possa finalmente essere risolto. “Non c’è dubbio che la sparizione sia riconducibile, almeno in ipotesi, a contesti di criminalità organizzata di un caso ormai acclarato di lupara bianca”, ribadiscono i familiari.

L’appello è ora nelle mani della magistratura e delle forze dell’ordine, che dovranno valutare se esistano elementi sufficienti per riaprire il caso sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. La speranza è che, dopo ventidue anni di silenzio, la verità possa finalmente emergere, restituendo un po’ di pace a una famiglia che non ha mai smesso di cercare il proprio caro.

“Fate domande, non possono non sapere cosa è accaduto nel territorio che controllavano”, è l’ulteriore richiesta dei familiari di Iaconeta indirizzata direttamente ai pentiti che potrebbero possedere informazioni decisive.

Tra i capi storici rimane ancora attivo, seppur dietro le sbarre del penitenziario di Fossombrone, Francesco Scirpoli, oggi 42enne, che non ha scelto la via della collaborazione, a differenza dei suoi ex alleati Notarangelo e i fratelli Quitadamo.

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