Anche la gastronomia è servita per il voto alle donne

Le suffragette hanno utilizzato i ricettari come strumento politico per promuovere il diritto al voto femminile. Un capitolo poco noto della storia dell’emancipazione.

In passato col termine suffragette si intendeva il movimento di emancipazione femminile che lottava per il diritto al voto. E’ stato un percorso lungo e tortuoso, iniziato tra la fine del ‘700 e l’inizio del ‘900, quando si diffuse tra le donne la volontà di ottenere gli stessi diritti degli uomini. Il seme del movimento si propagò durante la Rivoluzione Francese, quando M.me de Keralis presentò all’Assemblea Rivoluzionaria il “Cahiers de Doléances des femmes”, considerato il primo manifesto per i diritti delle donne. Qualsiasi mezzo veniva ritenuto utile, purché raggiungesse lo scopo.

Uno di questi (strano ma vero, tanto per citare una famosa rubrica della Settimana Enigmistica) fu “Dateci il voto e cucineremo il meglio per una visione ampia”. Un modo per blandire gli uomini rendendoli persuasi che le decisioni sulle sorti del Paese non erano prerogativa maschile. Tutto questo è stato trasmesso grazie ai ricettari. Certo, prima hanno lottato, manifestato per le strade delle città, contestato a costo della vita, ma poi sono arrivati i ricettari. Il primo fu pubblicato nel 1885 negli USA e ne susseguirono almeno una dozzina fino al 1920, anno in cui le donne conquistarono il diritto di voto.

I ricettari come atto politico, attraverso cui tra una ricetta e l’altra si propagandava un diritto fino ad allora precluso alle donne. Tra zuppe, budini, sughi, torte ed altro ci si imbatteva anche in frasi arroganti ed altezzose pro-suffragio del tipo “Gli idioti, i pazzi, i poveri, i criminali e le donne non avranno diritto di voto”. Gli storici ritengono che le donne hanno utilizzato gli arnesi a disposizione in quel periodo, quelli che sapevano meglio maneggiare per sostenere la loro causa. L’unico canale di comunicazione con l’esterno erano le ricette, visto che per quasi tutto l’800, non avevano alcun controllo sui soldi, sui figli o sulla propria sorte. L’unico luogo che dominava, in cui il maschio non metteva becco era la cucina di cui era l’assoluta padrona. Ed in questo senso il cibo è diventato strumento di lotta politica. Le suffragette furono definite dalla stampa dell’epoca “madri disinteressate, che non volevano adempiere ai doveri di casa e disprezzavano la cucina, perché distratte dalle lotte politiche”.

Le autrici dei ricettari non erano solo casalinghe, ma anche donne lavoratrici, di cui è passata alla storia Alice Bunker Stockham, ostetrica e ginecologa di Chicago

Le risposte a queste considerazioni si materializzarono in una valanga di ricettari e di slogan diventati celebri, tra cui “La buona cucina e il voto vanno di pari passo”, oltre a quello summenzionato. Le autrici dei ricettari non erano solo casalinghe, ma anche donne lavoratrici, di cui è passata alla storia Alice Bunker Stockham, ostetrica e ginecologa di Chicago, la quinta donna ad essere nominata medico autorizzato negli USA. I ricettari erano pieni di ricette elaborate, ma anche consigli per vivere in maniera semplice, ma pensare in modo più complesso e avevano una parte finale il cui titolo era “Eminenti opinioni sul suffragio femminile”. Il movimento delle suffragette si sosteneva proprio con la vendita dei ricettari alle fiere di paese per raccogliere fondi. Inoltre, questa modalità permetteva alle donne stesse di fare rete e di crescere nell’identità del gruppo. Da allora ad oggi è passata tanta acqua sotto i ponti, spesso fetida.

Molto è stato fatto, ma c’è altrettanto ancora da fare. E’ triste constatare come dal periodo delle suffragette è trascorso più di un secolo e la discriminazione verso le donne ancora non è stata del tutto debellata. Quanti ricettari bisognerà pubblicare ancora per mettere la parola fine a questo fenomeno?

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