Tra nuove proposte di legge, spese aggiuntive e funzioni contestate, cresce il dibattito sul ruolo reale dell’amministratore.
Paolo Battaglia La Terra Borgese: “Aboliamo l’amministratore di condominio”. Sembrerebbe (chi può mi corregga) che chi debba occuparsi della gestione delle parti comuni di un condominio per riscuotere contributi e quote, eseguire le delibere assembleari, gestire la manutenzione ordinaria e i servizi comuni, di fatto si muova esclusivamente su “lamentela” dei condomini.
Mai un giretto scala per scala, piano per piano? Sembrerebbe (chi può mi corregga) che taluni incaricati della cura igienica, funzionale e amministrativa degli stabili condominiali, di fatto, nulla sanno se non avvertiti.
Attraverso una proposta di questi giorni avanzata da taluni Fratelli d’Italia (chi può mi corregga), la legge vorrebbe pretendere dai condominii di aggiungere, al costo della paga del cosiddetto amministratore, il costo di un revisore contabile; e, con la stessa proposta di legge degli stessi Fratelli d’Italia firmatari, si pretenderebbe che umili poveri proprietari di modeste case (non parliamo certo di proprietari di ville e villone) in condominio, con un mutuo, su deboli spalle, che non sempre sono capaci di onorare (vedi bollette luce, gas; vedi imposte, tasse e tributi), abdichino e abiurino all’esercizio del potere sovrano sulla propria casa per sottomettersi economicamente ad una spesa decisa in autonomia dall’amministratore. Si pensi soprattutto a chi quella casa l’ha ereditata, ma che trovandosi in stato di totale indigenza non potrebbe far fronte alle spese che un amministratore – se passasse tale legge – deciderebbe motu proprio.
Orbene: tanta rigorosa disciplina non è applicata nemmeno sulle le case popolari, che – pubbliche come sono – dovrebbero, con pari affetto, brillare di decoro, efficienza, igiene e sicurezza. Oltretutto pare sfugga al legislatore la vera utilità di incaricare qualcuno che si occupi della gestione delle parti comuni di un condominio: riscuotere contributi e quote, eseguire le delibere dell’assemblea, gestire la manutenzione ordinaria e i servizi comuni e, non ultimo: occuparsi del decoro estetico e architettonico, per il benefizio della qualità.
Forse il legislatore farebbe meglio diversamente? Forse il legislatore dovrebbe stabilire un numero massimo di incarichi condominiali? Forse il legislatore dovrebbe obbligare il così designato amministratore a visite periodiche tipo un giretto scala per scala e piano per piano? Del resto: come è possibile amministrare a distanza? Sembrerebbe (chi può mi corregga) che taluni incaricati della cura igienica, estetica, funzionale e amministrativa degli stabili condominiali, di fatto, nulla sanno se non avvertiti, o opinabilmente avvertiti.
Forse, a mio parere, con il trascorrere degli anni, la parola amministratore (di condominio) ha concluso di fatto la sua strada: si è riempita di una accezione blasonaria, “scordiva” della funzione di servizio a cui dovrebbe prestarsi come nozione. Forse, o sicuramente, se si indicesse un referendum, la volontà popolare abrogherebbe l’obbligo di un amministratore condominiale: ciò che – credo sin dagli anni Quaranta del secolo scorso – la legge voleva esprimere quale beneficio sociale sia oggi divenuto addirittura, blastico.
Se proprio deve esistere, un incaricato di condominio lo si chiami per le sue reali funzioni di servizio, ovvero “sbrigafaccende condominiale” o “incaricato di condominio” o “inviato di condominio” o ”mandatario di condominio” o “rappresentante di condominio”, dove tra le parole resti vivo e nobile lo spirito di servizio a cui tale figura debba attenersi.
Se invece il sistema pubblico intendesse, attraverso l’istituto di tale figura, nazionalizzare la proprietà privata, beh, allora, tanto varrebbe usare direttamente l’esproprio; ma abbiamo visto sopra che le case popolari non se la passano bene.
Occorre infine evidenziare che un Condominio non ha caratteristiche societarie ma semplicemente di condivisione. E sarebbe forse utile lasciare il termine di «amministratore» alle classiche situazioni imprenditoriali o giudiziali, e a quelle di ingente e privato possedimento, affinché ognuno ritorni
proprietario pieno della propria casa, anche in termini di percezione del linguaggio.
Non vorrei che da qui in avanti uno Stato possa obbligare i cittadini a portare gli abiti in tintorie convenzionate in nome del decoro nazionale. Perché si è giunti al paradosso che se Caio vuol donare un alloggio al senzatetto Sempronio, la cosa non è possibile: Sempronio non ha i soldi per pagare amministratori e revisori, non ha soldi per bollette luce, gas, per imposte, tasse e tributi; in quella casa Sempronio non avrebbe nemmeno diritto di residenza anagrafica, chi può mi corregga.