Altavilla Milicia, la coppia palermitana: “Ci hanno impedito di chiedere aiuto”

Accusati di aver preso parte alla mattanza di madre e figli, Sabrina Fina e Massimo Carandente sono convinti di poter dimostrare la loro innocenza.

ALTAVILLA MILICIA (Palermo) – L’inchiesta sulla tragica morte di Antonella Salamone e dei suoi due figli Kevin ed Emanuel prosegue senza soste. A breve la Procura di Termini Imerese ascolterà la versione dei fatti raccontata per bocca di Sabrina Fina e Massimo Carandente, i due fedeli evangelisti reclusi in isolamento nel carcere Pagliarelli di Palermo per aver partecipato alla strage familiare del 10 febbraio scorso. Intanto i due reclusi, accusati di aver partecipato materialmente alla mattanza di madre e figli, hanno avuto un colloquio in parlatorio con l’avvocato Salvatore Cusumano, il quale riferisce, in maniera stringata per l’ovvia riservatezza della fase istruttoria, le dichiarazioni dei due indagati:

Giovanni e la moglie Antonella

“Entrambi si dichiarano innocenti e respingono quanto riportato nei capi d’imputazione – dice il penalista favarese – Loro non c’entrano ed hanno addebitato la responsabilità a Giovanni Barreca e alla figlia. In casa Barreca non c’era armonia e serenità. Genitori e figli si scontravano fra di loro e poi si confidavano con Sabrina. Non hanno partecipato ad alcun delitti, hanno solo pregato…”

Come avevamo anticipato su queste colonne ad Altavilla Milicia non c’è mai stata una setta e certamente Fina e Carandente non sono altro che religiosi che professano la dottrina evangelista dunque presunti fanatici si ma non sarebbero assassini. A sentire gli altri indagati, Giovanni Barreca e la figlia 17enne, la coppia palermitana avrebbe posto in essere un “esorcismo” partecipando attivamente alle sevizie e le uccisioni:

Sabrina Fina

“I due si sarebbero trovati in quella villetta per aiutare la famiglia con veglie di preghiera – aggiunge l’avvocato Cusumano – Avrebbero voluto chiedere aiuto, ma qualcuno gliel’ha impedito. Mi hanno detto chi e come e lo riferiranno alla Procura quando sarà il momento…Carandente è in degenza perché ha avuto un malore. Loro sperano di potere uscire dal carcere non appena verranno sentiti dai magistrati. Massimo e Sabrina sono due persone pacate molto religiose. Hanno pregato il Signore durante il colloquio… Carandente è una persona magrissima con diverse patologie e trovo difficile vederlo durante sevizie e torture, non mi sembra che abbia la forza per aggredire o percuotere qualcuno…

Mi hanno riferito che c’era tanto odio tra i familiari e l’aria era molto tesa. La ragazza non vedeva l’ora di scappare via come pure il fratello. Sono intervenuti su richiesta dei Barreca e hanno organizzato, come già detto, alcune veglie di preghiera per sostenere la famiglia. Non hanno mai fatto parte di una setta ma solo di gruppi di preghiera.”

Sulla scorta di questo quadro difensivo e atteso che l’istanza di perizia psichiatrica per Barreca è stata accolta dal Gip Valeria Gioeli, l’unica persona che avrebbe descritto i fatti con freddezza e ricchezza di particolari al Gip Alessandra Puglisi rimane la figlia del muratore di Altavilla:

Massimo Carandente

“All’inizio di febbraio, mamma ha conosciuto Massimo Carandente e Sabrina Fina,” aveva dichiarato in atti la ragazza. “Sin da subito ci hanno detto che in casa nostra c’erano troppi demoni. Allora hanno iniziato a interrogarla…Le davano schiaffi e papà li aiutava…La facevano digiunare e poi l’hanno torturata con una pentola per una settimana. E volevano che lo facessi pure io. Ma all’inizio mi sono rifiutata e ho colpito mamma solo con un guanto di plastica. Massimo e Sabrina mi avevano convinto di essere pure io vittima di una maledizione da parte della mamma e della nonna...

La ragazza di 17 anni con il padre ed il fratello maggiore

Mi hanno fatto bere moltissimo caffè e poi mi hanno fatto vomitare, ero convinta di aver vomitato i capelli di mia madre, che da piccola mi picchiava, e della nonna. Avevano iniziato a farmi tante domande per vedere se fossi anche io un demone. Ho pure sentito che avevano raccomandato a mio padre di chiamare la polizia e di accusarmi di tutto quello che era successo…Dopo le botte con la pentola mamma ustionata con pinze del camino e phon. Stesse cose per Emmanuel che tenevo fermo mentre papà lo legava al letto per poi fargli bere latte e caffè in quantità che gli iniettavano in bocca. Kevin soffriva dal dolore, lo avevano legato al collo con una catena arrugginita e cavi elettrici. Gli adulti mi hanno detto di saltargli sulla pancia e l’ho fatto…”. La lucidità della ragazza sarà determinante ai fini processuali.

Facebook
Twitter
LinkedIn
WhatsApp
Email
Stampa