Alex Marangon, dopo 9 mesi il mistero resta: suicidio o omicidio? La rabbia della famiglia

L’autopsia ha rilevato segni di pestaggio ma non esclude il suicidio. La famiglia denuncia omissioni e chiede verità sul rito sciamanico a Vidor.

Treviso – Nove mesi dopo la morte di Alex Marangon, il barista 25enne di Marcon (Venezia) trovato senza vita il 2 luglio 2024 sulle rive del Piave, le indagini non dissipano i dubbi. L’autopsia del medico legale Alberto Furlanetto, pur aprendo alla possibilità di un suicidio, ha evidenziato la presenza di ferite da colluttazione, lasciando la famiglia in un limbo di dolore e domande senza risposta. “Ti stanno uccidendo una seconda volta”, scrive il padre Luca su Facebook, dando voce a un’agonia che si intreccia a una ricerca di verità sempre più solitaria.

Alex scomparve nella notte tra il 29 e il 30 giugno durante un rito sciamanico nell’abbazia di Santa Bona di Vidor. Il suo corpo, mani intrecciate e viso livido, fu ripreso da un drone già il 1° luglio, ma notato solo giorni dopo. Le ferite – un occhio nero, costole rotte, un trauma cranico – sono “compatibili con una caduta” dalla terrazza alta 15 metri, dice il perito, ma non si esclude un pestaggio. Eppure, la boscaglia sottostante è intatta: nessun ramo spezzato, nessun segno di passaggio. E i piedi scalzi di Alex, stranamente illesi, alimentano i sospetti.

Gli interrogativi della famiglia sono un grido d’accusa: perché le ricerche si sono estese ovunque se si pensava a un salto dalla terrazza? Perché i soccorsi sono stati chiamati solo alle 6.30, quattro ore dopo la sua scomparsa alle 3? Perché l’abbazia, mai posta sotto sequestro, è stata “ripulita” e ha ospitato un matrimonio il giorno stesso, cancellando possibili prove? E perché il gruppo Telegram “Ritiri Io Sole”, con 167 iscritti e il programma del rito, è sparito? I curanderos colombiani Jhonni Benavides e Sebastian Castillo, ultimi a vedere Alex vivo, erano partiti all’alba, lasciando memorie scritte ma evitando gli inquirenti.

Le analisi tossicologiche parlano chiaro: ayahuasca, cocaina, Mdma e cannabinoidi nel sangue di Alex. Sostanze che potrebbero averlo spinto a un gesto estremo, ma i risultati definitivi tardano. Intanto, i testimoni si contraddicono: c’è chi lo vide agitato vicino alla terrazza, chi seguito dai curanderos. “Chi sa tace, protetto da un’omertà inspiegabile”, denuncia Luca Marangon.

L’avvocato Nicodemo Gentile, con Stefano Tigani, non si arrende: “Un altro suicidio imperfetto. Indagini insufficienti chiudono casi complessi con soluzioni semplicistiche. Ma noi cercheremo la verità”. La famiglia, condannata a un “ergastolo di dolore”, invoca giustizia divina e umana, mentre il Piave custodisce ancora i segreti di quella notte maledetta.

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