In vista delle Europee torna la pesca al mitico elettore moderato. Non è dato sapere se qualche esemplare sia effettivamente sopravvissuto e in quale acque sguazzi, ma le lenze in mare sono tante. Forse più dei pesci.
Roma – A suonare la carica ci ha pensato Renzi. Con la proverbiale schiettezza del toscano ha rotto gli indugi, e la moribonda unione con Calenda, per intestarsi un soggetto politico che già dal nome, Centro, non lascia spazio ad equivoci sulla sua vocazione, nuovo packaging ma sostanza antica. E’ convinto il senatore di Rignano che sotto il cielo della politica italiana, nello spazio siderale tra Meloni e Schlein, si muova un esercito di elettori scontenti e senza fissa dimora in cerca di un comodo tetto riformista e liberale dove ripararsi da sovranismo e massimalismo.
Per intanto gli basterebbe superare il 4 per cento – e pensare che alla guida del Pd nel 2014 aveva preso dieci volte tanto – per superare lo sbarramento e accomodarsi a Bruxelles, ma sempre con un occhio attento a Roma dove non gli dispiacerebbe il ruolo di ago della bilancia dei futuri governi, seppur alla guida di un partitino. Ha dichiarato senza mezzi termini di aspirare a portare via voti tanto a Forza Italia – lui dice “Forse Italia” per sottolineare lo spaesamento del partito orfano del fondatore – quanto al Pd, dove i moderati soffrono di mal di pancia. Renzi però non è solo. Il centro, non il suo, ma l’ideale spazio di conquista politico è affollato di competitor animati da appetiti belluini.
Quello di Calenda, con il quale sono volati gli stracci, si è nutrito dell’endorsement dell’ex deputata ed ex ministra di Italia Viva, Elena Bonetti, che voltate le spalle a Matteo ha detto non disdegnare un ticket con il segretario di Azione. E sempre Calenda ha accolto a braccia aperte la transumanza ligure di trenta quadri del Pd locale attirati dalla serene riformiste che al Nazareno non suonano più. Rimanendo a Genova un altro pezzetto di centro, quello del governatore Giovanni Toti, al governo con Noi Moderati, dalla finestra di piazza De Ferrari guarda le mosse di Renzi e Calenda da semplice spettatore. Non è ancora tempo di avventure. La pensa allo stesso modo il compagno di movimento Maurizio Lupi.
Arriva dalla Dc, Lupi, come Mastella e Cateno de Luca, sindaci rispettivamente di Benevento e Taormina, abitatori naturali di quel centro politico che non ha mai smesso di rimpiangere i gloriosi anni della Balena Bianca. Il leader di Maddaloni non disdegnerebbe rimettere in piedi la Margherita, quello di Sud chiama Nord traccheggia ma ricorda a tutti che lui e Mastella valgono qualcosa come 400mila voti. Tanta roba. Il centro dunque si agita, sgomita, ma si tratta pur sempre di movimenti della nomenklatura. Degli elettori non c’è traccia. Rischia di essere una misera pesca, trent’anni di maggioritario potrebbero aver convinto le acciughe moderate a fare il pallone, a scappare in branchi nell’uno o nell’altro polo. Il segreto, i pescatori lo sanno, è prenderle al momento giusto. Ma non è facile.