La “pennichella” rischia di scomparire: globalizzazione e modernità accelerano ritmi e omologano culture.
La “pennichella”, o pisolino pomeridiano postprandiale, è un’usanza dei Paesi europei dell’area Mediterranea. In Spagna è nota col termine “siesta”. Quando si lavorava nei campi si era adusi nel primo pomeriggio, dopo la pausa pranzo, per ricaricare le forze, a sprofondare su una poltrona. Le palpebre lentamente cominciavano ad abbassarsi, il capo ciondolava prima da un lato, poi dall’altro, fino a trovarsi accolto tra le premurose braccia di Morfeo.
D’altronde l’etimo di pennichella deriva dal latino pendiculare, quindi pendente. Molti studi scientifici hanno dimostrato gli effetti benefici del riposino pomeridiano sull’umore e sulla produttività. E pur vero che la pennichella era consueta in una società prevalentemente agricola o preindustriale, in cui il ritmo della vita e del lavoro era molto più lento di quello attuale, perché legato ai cicli naturali.
Ora questa sana abitudine rischia la totale scomparsa, vittima dei colpi mortali della globalizzazione e dell’omologazione. Dal punto di vista antropologico l’ora della siesta o pennichella, tra le ore 12.00 e le 15.00, affonda le radici in una tradizione più che antica. Non significa solo permettersi una pausa, ma, negli anni, si è trasformata in atteggiamento culturale. Non è solo ed esclusivamente un modo per evitare il caldo e sprecare energie, ma si è trasformata in una sorta di consuetudine cerimoniale, un modo per solidificare le relazioni familiari.

In Spagna e nei paesi di influenza spagnola, come gli Stati dell’America del Sud, la siesta è stata talmente assorbita dal tessuto sociale che ha inciso non sono nelle abitudini personali, ma anche nel modo di concepire l’aspetto economico delle aree urbane. Infatti, nella fascia oraria 12.00/15.00 era pressoché impossibile trovare aperte attività commerciali o uffici sia pubblici che privati. Era un’usanza così consolidata che le imprese nei contratti coi lavoratori riconoscevano il diritto ad interrompere il lavoro per andare a casa per stare con la famiglia. O nel caso in cui l’abitazione fosse lontana, di godere, comunque, di una pausa fuori dall’ufficio.
Molti studi hanno dimostrato che la siesta è stata una risposta al clima caldo del Mediterraneo. Proprio per scansare lo stress termico del pomeriggio, le ore più calde della giornata ed affaticarsi di meno. Inoltre è un adattamento ai cicli circadiani dell’uomo, in cui si assiste ad una fisiologica riduzione energetica nelle prime ore pomeridiane.

E’, infine, una forma di coesione identitaria in quanto la pausa è goduta da tutti e si assiste ad una siesta a cui partecipa tutta la comunità. Bisognerebbe ripristinare per decreto questa sana abitudine perché è benefica anche per l’ambiente nel suo complesso. Ma ormai la modernità, come un bulldozer, ha spazzato via molte buone pratiche tradizionali.
La globalizzazione ha portato a termine il compito imponendo una forte velocizzazione ai ritmi di vita, oltre ad un’omologazione dei modi di essere. L’aspetto più preoccupante è l’annientamento di un patrimonio culturale e delle diversità. L’insieme dei beni materiali e immateriali testimoniano la storia e la cultura di un luogo o di un popolo. Rappresenta un’eredità da preservare e valorizzare, perché con la sua scomparsa muore una parte di ogni essere umano. Ma questo ai “potenti della terra” non interessa granché!