Addio a James Senese, il sassofonista che ha reinventato il suono di Napoli

L’artista che ha fuso jazz e tradizione partenopea lascia un’eredità musicale senza confini.

Napoli – Si è spento oggi all’ospedale Cardarelli di Napoli James Senese, uno degli artisti più influenti della scena musicale italiana. Aveva 80 anni e da settimane lottava contro una grave polmonite che aveva compromesso una salute già fragile. Con lui se ne va un pezzo di storia della musica contemporanea, un ponte sonoro tra culture e generazioni.

Nato Gaetano Senese nel gennaio del 1945, nel quartiere di Miano, la sua vicenda personale porta i segni di un’Italia del dopoguerra ancora ferita. Figlio di una napoletana e di un militare afroamericano della 92ª Divisione sbarcato a Salerno, crebbe senza padre, affidato alle cure del nonno. Quella doppia identità, mai rinnegata, divenne la chiave della sua musica: un linguaggio ibrido capace di parlare a mondi apparentemente lontani.

Il sassofono arrivò a dodici anni e da lì iniziò un percorso di autoapprendimento ostinato, nutrito dall’ascolto ossessivo dei maestri del jazz d’oltreoceano. Ma Senese non si limitò a imitare: prese quel linguaggio e lo innestò nelle vene della cultura popolare napoletana, creando qualcosa di unico. La strada fu la sua prima scuola, il confronto con altri musicanti la sua università.

La fondazione di Napoli Centrale nel 1974 segnò una svolta definitiva. Con Franco Del Prete e altri compagni d’avventura, diede vita a un progetto rivoluzionario: jazz elettrico cantato in dialetto stretto, storie di vita quotidiana trasformate in manifesti poetici. Non c’era folklore né compiacimento, ma cronaca autentica di un Sud che cercava la propria voce.

L’amicizia artistica con Pino Daniele rappresentò un altro capitolo luminoso. Insieme costruirono un suono mediterraneo che mescolava blues, funk e tradizione, conquistando pubblico e critica. Ma le collaborazioni di Senese attraversarono oceani: da Bob Marley a Ornette Coleman, da Gil Evans ai membri dell’Art Ensemble of Chicago.

Nonostante le sirene del successo internazionale, scelse sempre di restare ancorato alla sua città. Napoli era il suo porto sicuro e il suo tormento creativo. Fino all’ultimo ha continuato a suonare, a comporre, a testimoniare con il suo sax che la musica può essere strumento di identità e resistenza culturale.