A Torino la speranza di ritrovare Alessandro Venturelli

La madre, Roberta Carassai, è arrivata nella città piemontese a cercare il figlio scomparso nel 2020. “Voglio solo sapere se sta bene”.

inque anni di ricerche, migliaia di chilometri percorsi, decine di segnalazioni verificate. E ora, forse, una speranza concreta. Roberta Carassai è salita su un treno per Torino con la borsa piena di volantini che ritraggono il volto di suo figlio Alessandro Venturelli, scomparso il 5 dicembre 2020 da Sassuolo, quando aveva ventun anni. Questa volta le segnalazioni arrivate dalla città piemontese sono state così numerose e coerenti tra loro da spingerla a partire ancora una volta, nonostante i bocconi amari del passato.

“Cerco di rimanere calma, ma la speranza c’è. Non ho mai ricevuto tante segnalazioni come negli ultimi giorni”, ha dichiarato durante la trasmissione “Chi l’ha visto?” condotta da Federica Sciarelli su Rai3, dove è apparsa con la voce tremante e gli occhi lucidi. Le testimonianze parlano di un giovane senzatetto che avrebbe detto di chiamarsi Alessandro e di vivere per strada da cinque anni – esattamente il tempo trascorso dalla scomparsa di Venturelli.

La prima segnalazione è arrivata da una donna che avrebbe riconosciuto il ragazzo vicino alla fermata del tram “Corte d’Appello”. Poi ne sono seguite altre, fino ad arrivare a sessanta testimonianze che descrivono tutte lo stesso profilo: un giovane educato e gentile, che chiede più cibo che denaro, rispettoso nei modi. “Mi descrivono tutti un ragazzo educato e corretto – racconta mamma Roberta – io ci rivedo il mio Alle”.

Alessandro Venturelli

A Torino, Carassai si è mossa accompagnata da un gruppo di volontari, concentrando le ricerche nelle zone dove abitualmente dormono i senzatetto della città.

Non è la prima volta che questa madre attraversa l’Italia in lungo e in largo, per seguire una traccia che potrebbe riportarla dal suo Alle. In passato è arrivata fino in Romania per verificare altre segnalazioni, rivelatesi poi infondate. “Anche lì tutti sembravano aver visto Alessandro ma non era vero, per questo stavolta sono stata molto cauta. Ma quando le segnalazioni sono diventate sessanta ho deciso di partire. Devo cercare mio figlio e vedere con i miei occhi se è lì”.

Durante la trasmissione televisiva, accompagnata dal suo avvocato Claudio Falleti, Roberta ha lanciato un messaggio diretto ad Alessandro: “Vorrei dirti che io e papà non siamo arrabbiati e siamo pronti a rispettare ogni tua scelta, ma abbiamo bisogno di sapere che ci sei e stai bene. Vogliamo offrirti il nostro aiuto a 360 gradi”. Parole che tradiscono il timore che il figlio possa essersi allontanato volontariamente e ora tema il giudizio della famiglia.

“Se è qui, voglio solo sapere se sta bene. Non mi interessa altro ma ho bisogno di vederlo e ci spero ancora”, ripete Roberta, che in questi cinque anni ha trovato nella solidarietà altrui la forza per continuare. “Accanto al grande dolore di questi anni ho trovato una enorme catena d’affetto e di solidarietà. In questo trovo la forza di andare avanti”.

Le telecamere di videosorveglianza della casa di Sassuolo hanno registrato gli ultimi momenti di Alessandro prima che svanisse nel nulla. Le immagini mostrano il padre che cerca di trattenerlo mentre il giovane manifesta l’intenzione di andarsene. Poi più nulla. Alessandro è riuscito a dileguarsi in pochi minuti, un dettaglio che ha sempre fatto ipotizzare agli inquirenti che potesse avere un appuntamento con qualcuno che lo aspettava a bordo di un’automobile.

Il padre di Alessandro tenta di bloccare il figlio

Il ragazzo attraversava un periodo di estrema fragilità emotiva. Una perizia psichiatrica commissionata dalla famiglia, basata sulla documentazione medica, aveva evidenziato come Alessandro in quel momento non fosse in grado di allontanarsi autonomamente, soprattutto dai suoi punti di riferimento: i genitori, gli zii, i cugini. I traumi si erano accumulati: un incidente stradale, la morte dello zio a cui era molto legato, la malattia della madre.

Nei giorni precedenti la scomparsa, Alessandro aveva manifestato comportamenti preoccupanti. Aveva cominciato a segnare le targhe di tutte le automobili che transitavano davanti casa, raccontando alla madre di sentirsi “manipolato” e spaventato, al punto da cercare rifugio nel letto di Roberta. Non aveva mai specificato, però, da chi o da cosa si sentisse minacciato. Questi elementi avevano alimentato l’ipotesi che potesse essere caduto nella rete di una setta o di qualche gruppo che esercitava pressioni psicologiche su di lui.

Dopo la denuncia di scomparsa, la Procura di Modena aveva inizialmente aperto un fascicolo per allontanamento volontario. Le ricerche immediate – sopralluoghi nelle aree boschive, uso di droni, ascolto degli amici – non avevano prodotto risultati. A complicare il quadro era arrivata una testimonianza del musicista Raoul Casadei, che poco prima della sua morte aveva dichiarato di aver incontrato Alessandro su una spiaggia della riviera romagnola e di aver scambiato qualche parola con lui. Ma anche quella pista si era rivelata un vicolo cieco.

Dopo settimane di ricerche infruttuose, la Procura aveva modificato l’ipotesi di reato in sequestro di persona a carico di ignoti. Per un periodo si era pensato a una connessione con la scomparsa di un altro giovane, Stefano Barilli, sparito da Piacenza nel febbraio 2021. Una fotografia sembrava ritrarre i due ragazzi insieme alla stazione di Milano Centrale, alimentando l’ipotesi della psico-setta. Ma quell’illusione era durata poco: nella foto si erano riconosciuti altri due giovani, studenti di architettura. E la storia di Barilli aveva avuto un epilogo tragico nell’aprile 2021, con il ritrovamento del suo corpo nel fiume Po.

Stefano Barilli

Ora, mesi dopo che la procura di Modena ha presentato una richiesta di archiviazione, la famiglia attende ancora una decisione. A luglio 2025 il giudice Donatella Pianezza si era riservata di decidere, ma il verdetto è ancora sospeso. Una situazione che aveva spinto Roberta Carassai a organizzare una manifestazione in piazza Matteotti a Sassuolo, con un appello alla Procura e al Governo affinché non si smettesse di cercare gli scomparsi, affinché non fossero archiviati frettolosamente come allontanamenti volontari.

Le sessanta segnalazioni da Torino potrebbero essere l’ennesima illusione, l’ennesimo viaggio a vuoto. Oppure potrebbero finalmente condurre a quel ragazzo educato che chiede cibo per strada, che vive da cinque anni senza fissa dimora, che forse ha paura di tornare a casa. “Mi ha raggiunto una catena incredibile di solidarietà da Torino”, dice Roberta, aggrappandosi a questa rete umana che tiene viva la ricerca.

Mentre distribuisce volantini per le strade e parla con i senzatetto della città, questa madre porta avanti una battaglia che va oltre il caso personale: è la rivendicazione del diritto di ogni genitore a sapere cosa sia accaduto ai propri figli, è il rifiuto di accettare che una vita possa semplicemente sparire, dissolversi come una bolla di sapone. E in fondo, è l’espressione più pura dell’amore di una madre che dopo cinque anni continua a cercare, a sperare, a non arrendersi mai.