Un intrigo bene orchestrato li aveva fatti passare per orchi. Dopo il carcere e i domiciliari finalmente la sentenza di assoluzione. Chi perseguirà i veri criminali?
Roma – Sonia Ponte, il consuocero Nuccio Ippolito e l’appuntato dei carabinieri Mario Schiavone sono stati assolti dagli Ermellini della terza sezione penale della Corte di Cassazione che hanno ritenuto inammissibile il ricorso avanzato dalla Procura generale contro la sentenza pronunciata dalla seconda sezione penale della Corte d’Appello di Catania.
In primo grado Sonia Ponte (sorella di Angela Ponte, la ragazza di 14 anni sparita da Francofonte il 2 gennaio del 1993 e mai più ritrovata), era stata condannata dal tribunale di Siracusa alla pena di 24 anni di reclusione poichè, come madre degenere, era stata riconosciuta responsabile di aver fatto prostituire i suoi tre figlioletti dietro modesti compensi che le sarebbero serviti per acquistare alcolici. Lo stesso Ippolito era stato condannato a 10 anni di carcere mentre al graduto dell’Arma, Schiavone, erano stati inflitti 14 anni di carcere perchè entrambi accusati di avere commesso abusi sessuali sui tre bambini della Ponte.
I giudici della seconda sezione della Corte d’Appello etnea, avevano assolto da queste gravissime accuse la madre dei tre ragazzini, il consuocero e l’appuntato dei carabinieri, con formula piena perché il fatto non sussiste. Il consesso giudicante aveva poi ordinato la scarcerazione della donna e del militare, già posti ai domiciliari dopo la detenzione in carcere. Anche a Ippolito veniva revocato il divieto di dimora nel Comune di Francofonte.

La Corte d’Appello ha smentito dunque su tutta la linea il verdetto del tribunale aretuseo e l’ipotesi accusatoria della Procura generale che aveva chiesto la conferma della sentenza di primo grado. La Suprema Corte ha accolto le richieste dei difensori dell’appuntato Schiavone, le penaliste Tiziana Teodosio e Antonella Schepis, che si dovrà vedersi restituiti dall’amministrazione della Benemerita gli stipendi arretrati a partire da quando il graduato venne arrestato e rinchiuso in cella.
L’assise del Palazzaccio ha anche accolto la richiesta di assoluzione per Nuccio Ippolito, difeso dall’avvocato Sebastiano Troia. Per Sonia Ponte, invece, l’assoluzione riguarda esclusivamente l’induzione alla prostituzione dei suoi tre figli mentre per quanto attiene il reato di maltrattamenti in famiglia la donna è stata condannata alla pena di 3 anni e 6 mesi di reclusione. La Cassazione, per quest’ultimo capo d’imputazione, ha rimesso gli atti alla Corte d’Appello di Catania che dovrà decidere se confermare o meno il verdetto di condanna.

La vicenda di Ponte, Ippolito e Schiavone ha radici comuni. I tre, infatti, non sarebbero altro che vittime designate di una sorta di intrigo bene orchestrato in cui hanno avuto parte attiva un ufficiale dei carabinieri e diversi altri militari ma non solo. Prossimamente racconteremo la vicenda dall’inizio e per bocca dei protagonisti. Al momento sulla tragica storiaccia di provincia è calato il sipario e alle tre vittime della cospirazione è stata restituita la dignità ma chi potrà ridare loro anni e anni di libertà sottratta?
Ma facciamo parlare l’avvocato Tiziana Teodosio che ha incassato un’assoluzione non facile ma che alla luce degli accadimenti trascorsi diventa davvero un fatto eclatante. Quali sono stati i documenti o le prove che, a suo avviso, hanno definitivamente demolito l’impianto accusatorio, trasformando il dubbio in certezza di innocenza?
“La svolta si è avuta con l’acquisizione dei documenti che il Tribunale di primo grado non aveva mai esaminato: i diari degli operatori della comunità e della famiglia affidataria – asserisce Teodosio – Questi documenti hanno dimostrato che l’accusa non era frutto di un ricordo spontaneo, ma di una manipolazione sistematica del racconto minorile. Abbiamo provato che i fatti contestati erano state costruzioni artificiose del castello accusatorio. Ad esempio la prima accusa rivolta a Gabriele, che coinvolgeva il minore Michael, è stata intenzionalmente trasformata per indicare un adulto di nome Mario, creando il pretesto per coinvolgere il mio assistito. A ciò si è aggiunta la prova della manipolazione investigativa sull’identificazione fotografica di Schiavone, in cui gli ufficiali di P.G. hanno ammesso di aver utilizzato un foto-ritocco per aggiungere i distintivi da carabiniere e influenzare l’identificazione del soggetto. L’unione di questi elementi ha portato la Corte a concludere che il fatto era ontologicamente insussistente…“.

Il caso del suo assistito è stato spesso letto come un complotto ordito per colpire un uomo delle istituzioni. Può spiegarci come un carabiniere con “eccellenti requisiti militari” sia diventato praticamente un orco? Le attività investigative ritenute “scomode” dell’appuntato Schiavone hanno giocato un ruolo importante nella vicenda?
“Mario Schiavone era un militare con eccellenti requisiti militari e di carattere oltre che di lungimiranza istituzionale fuori dal comune, un vero stacanovista – aggiunge Teodosio – Questo profilo era radicalmente incompatibile con l’accusa di abusatore in ambienti degradati. Le registrazioni in nostro possesso, emerse in Appello, hanno svelato che Schiavone era considerato un rompiscatole e ingestibile dai suoi superiori per la sua diligenza. Schiavone era impegnato attivamente in delicate indagini di Polizia Giudiziaria, inclusa quella sull’omicidio di Nino Barbaro, che coinvolgeva altri soggetti le cui posizioni erano in conflitto con quelle di alcuni appartenenti all’Arma. Vi sono elementi per sospettare che il mio assistito possa essere stato demonizzato perché aveva segnalato la contiguità di elementi della squadra operativa comandata da un tenente poi destituito con gli indagati nell’omicidio,. L’accusa di abuso su minori è stata, a nostro avviso, una macchinazione costruita per depotenziare la sua attività investigativa scomoda per poi estraniarlo dai giochi…”.

La formula assolutoria definita”perché il fatto non sussiste“, è la più forte che il diritto penale contempli. Qual è il significato processuale di questo verdetto per il suo assistito e per l’intera, squallida vicenda?
La formula del perché il fatto non sussiste è di importanza capitale – continua la penalista del Foro di Avellino – poiché non si limita ad esprimere un dubbio sulla colpevolezza, come nel caso dell’insufficienza di prove, ma dichiara che il fatto non è mai avvenuto. In questo processo abbiamo dimostrato che l’accusa era stata una completa macchinazione. La Corte ha trovato la prova positiva della non-esistenza della condotta criminosa contestata. È la massima riabilitazione possibile per un uomo accusato di reati così atroci, confermata ora in via definitiva dalla Cassazione, che ha accolto pienamente la linea difensiva sulla manipolazione e l’assoluta mancanza di riscontri oggettivi…”.
Durante l’udienza lei ha evidenziato l’esistenza di vasto materiale investigativo da cui sarebbero stati estratti solo elementi a carico, come priù volte ripetuto anche alterati. Come valuta, dal punto di vista del diritto di difesa, questa sorta “manipolazione selettiva” del materiale probatorio?
“L’emergere di una manipolazione selettiva del materiale probatorio rappresenta una lesione molto subdola del diritto di difesa – conclude l’avvocato Tiziana Teodosio – Nel corso del dibattimento è emerso che, sebbene vi fosse una montagna di documenti e un materiale cospicuo nel fascicolo, inclusi file sui dispositivi sequestrati all’imputato, gran parte di questo materiale non è confluito nel fascicolo del dibattimento. In alcuni casi i brogliacci di intercettazioni presentavano estesi omissis che coprivano informazioni a discarico e sconfessavano la possibilità ontologica dell’esistenza di questo reato. Questa omissione è grave poiché si pone in violazione del principio fondamentale del nostro ordinamento: il Pubblico Ministero non deve partire da un’ipotesi già precostituita, ma ha l’obbligo di ricercare anche prove a discarico. L’occultamento o la mancata selezione di materiale che sconfessava in toto quelle accuse sotto ogni profilo ha messo in grave difficoltà l’imputato, che è stato costretto a ricorrere a mezzi rocamboleschi per tentare di far entrare queste prove nel processo, anche in fasi avanzate, oltre a estenuanti sessioni di ascolto in poche ore del materiale messo a disposizione dalla Corte, dopo numerosi solleciti alla Procura procedente…“.