La nuova normativa Ue obbliga l’Italia a ripristinare il reato cancellato dalla legge Nordio. Scontro acceso tra il ministro della Giustizia e il Movimento 5 Stelle.
Una nuova tensione si accende tra Roma e Bruxelles sulla questione dell’abuso d’ufficio. L’accordo raggiunto martedì scorso durante il trilogo europeo – il tavolo di negoziazione tra Parlamento, Commissione e Consiglio dell’Unione – ha trovato un compromesso che di fatto obbliga l’Italia a reintrodurre una forma del reato eliminato dal governo Meloni attraverso la legge Nordio. La direttiva, nata all’indomani dello scandalo Qatargate, dovrà ora essere ratificata dall’Eurocamera.
Il punto cruciale della questione riguarda l’introduzione del reato di “esercizio illecito di funzioni pubbliche”, una fattispecie che richiama proprio l’abuso d’ufficio cancellato nel 2024. La normativa europea stabilisce standard comuni per tutti gli Stati membri, definendo quali comportamenti debbano essere considerati reati e puniti in modo uniforme: dalla corruzione pubblica e privata all’appropriazione indebita, dal traffico di influenze all’intralcio alla giustizia, fino all’arricchimento illecito e alle violazioni gravi nell’esercizio delle funzioni pubbliche.
Sul piano sanzionatorio, la direttiva prevede pene detentive che vanno da un minimo di tre a cinque anni a seconda della gravità del reato. Ai trasgressori potranno essere applicate anche misure accessorie come ammende, rimozione dall’incarico pubblico, interdizione dalle cariche e dall’accesso agli appalti pubblici. Anche le persone giuridiche, quindi le società, dovranno rispondere con sanzioni pecuniarie che oscillano tra il 3% e il 5% del fatturato mondiale o tra 24 e 40 milioni di euro.
La vicenda ha scatenato un duro confronto politico. Giuseppe Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha definito la situazione “una brutta figura per l’Italia”, sottolineando come il Paese sia passato dall’essere lodato per la legge Spazzacorrotti a dover essere richiamato dall’Europa sui temi della legalità. Secondo Conte, il governo avrebbe cancellato il reato per proteggere politici e colletti bianchi.
La replica del ministro Carlo Nordio è arrivata dopo due giorni di silenzio e propone una lettura diametralmente opposta. Il Guardasigilli sostiene che la direttiva approvata il 2 dicembre abbia accolto le richieste italiane, supportate dalla maggioranza degli altri Stati membri, e che il reato di abuso d’ufficio originariamente previsto sia stato completamente eliminato. Nordio ha inoltre ricordato che l’ordinamento italiano prevede oltre 17 fattispecie che puniscono i comportamenti illeciti dei pubblici funzionari.
A contraddire la versione del ministro interviene Giuseppe Antoci, europarlamentare pentastellato e relatore della direttiva, che parla di “confusione giuridica” nelle dichiarazioni di Nordio. Secondo Antoci, l’articolo 11 del testo prevede chiaramente l’obbligo di recepire il reato di esercizio illecito di funzione pubblica, equivalente all’ex abuso d’ufficio italiano. Una lettura confermata dai servizi giuridici del Parlamento europeo, che evidenzierebbe l’isolamento dell’Italia in sede di Consiglio su questo tema.

Il compromesso raggiunto a Bruxelles lascia agli Stati membri una certa libertà nel definire quali condotte specifiche dei pubblici ufficiali debbano essere incriminate. Questo margine di manovra potrebbe permettere al governo italiano di sostenere che le previsioni della direttiva siano già coperte da altri reati presenti nell’ordinamento nazionale. Tuttavia, il testo approvato impone comunque l’obbligo di criminalizzare almeno una parte di quelle condotte che in precedenza rientravano nell’abuso d’ufficio.
La posizione del governo emerge anche dal respingimento di un ordine del giorno presentato alla Camera da Valentina D’Orso, capogruppo M5S in Commissione Giustizia, che chiedeva all’esecutivo di attivarsi per una rapida approvazione della direttiva. Il voto contrario viene interpretato dall’opposizione come una preannunciata resistenza al recepimento della normativa europea. D’Orso denuncia la trasformazione dell’Italia da paese all’avanguardia nella lotta alla corruzione a fanalino di coda su un tema fondamentale per la legalità, accusando il governo di lasciare i cittadini indifesi di fronte ad abusi di potere, clientelismi e favoritismi.
La vicenda si inserisce in un contesto europeo scosso da nuovi scandali di corruzione e segna l’ennesimo momento di tensione tra l’esecutivo di Giorgia Meloni e le istituzioni europee. L’iter della direttiva era rimasto a lungo bloccato proprio per le resistenze italiane, determinate a evitare il ritorno del reato abolito. Roma si trova ora di fronte alla necessità di elaborare una proposta di recepimento da presentare al Parlamento nazionale, in un clima politico sempre più polarizzato sul tema della legalità e della lotta alla corruzione.